ProfileLe guerre dell'Impero in declino, 25 marzo 2024 - Ogni guerra ha il suo inizio, il suo svolgimento, il suo termine nel senso che "Non si uccidono così anche i cavalli?" (nella foto, distruzioni della guerra)          

 

 
Il conflitto russo-ucraino. Una guerra per chi?
Yves Bonnet
 
 
Ogni guerra ha il suo inizio, il suo svolgimento, il suo termine nel senso che "Non si uccidono così anche i cavalli?"
 
 
 
 
L'inizio
 
L’inizio, sul quale non mi dilungherò troppo, riporta a scambi di cattive azioni tra due paesi meno diversi di quanto si possa pensare con, a corollario, un’inestinguibile diffidenza, perfino un odio ereditario come solo i popoli possono alimentarlo.
 
Giuridicamente l'Ucraina è nata nel XX secolo, precisamente il 17 marzo 1917 dal distacco dalla Russia e dall'Austria-Ungheria; è quindi una nazione giovane che vien fuori da una lunga occupazione polacca e lituana e che ha subito varie incorporazioni, la maggior parte delle quali russe. La parola Ucraina (“camminare”) corrisponde a quella di Krajina, questa zona indecisa che si trova tra Serbia e Croazia.
 
Lo smembramento dell'impero austro-ungarico permise l'emergere di una Repubblica popolare ucraina occidentale, la ZUNK, ma gli accordi polacchi e rumeni della Conferenza di pace misero fine alle speranze ucraine.
 
Paradossalmente, quasi trent'anni dopo, furono i sovietici a portare agli ucraini la loro prima forma di Stato unendo la Repubblica socialista federativa russa, la Repubblica socialista sovietica ucraina, la Repubblica socialista bielorussa e la Repubblica socialista sovietica della Transcaucasia. Due concezioni del futuro di queste entità territoriali e umane si contrappongono: quella di Stalin, che spingeva per la fusione delle quattro repubbliche; e quella di Lenin che sosteneva la federazione; prevalse quest'ultimo. Da quel momento in poi l’Ucraina godette di un’autonomia inaspettata. Tuttavia, con la guerra senza fine tra i Bianchi zaristi e i Rossi comunisti il meglio doveva ancora venire: per quelle popolazioni fu l'inizio delle tribolazioni, i belligeranti vivevano nel paese e le affamarono.
 
Alla fine vinsero i bolscevichi: la parte ex russa, con Kiev come capitale, fu integrata nell’URSS; mentre la parte già austriaca, con Lviv, diventò polacca. La piccola Ucraina dei Precarpazi votò per unirsi alla Cecoslovacchia, e la Bucovina alla Romania.
 
La pace non portò molto, tranne la sovietizzazione intrapresa sotto il nome di “indigenizzazione”, mirante alla liberazione delle minoranze non nazionali, contestata dai comunisti ucraini. Emerse allora Kaganovich, un ebreo ucraino protetto da Stalin che promosse l'ucrainizzazione, con la conseguenza immediata dell'uso diffuso dell'ucraino, ma che non poté impedire la diffusione del russo nelle città.
 
L’industrializzazione procedette a ritmo sostenuto. L’Ucraina è una delle sue terre d’eccellenza: sul Dnepr è stata costruita la centrale idraulica più grande d’Europa e il bacino minerario del Donbass ha visto la consacrazione della nobiltà del lavoro con il mito, largamente esagerato, dello stacanovismo.
 
Stalin cambiò rotta nel 1923 con la russificazione a scapito del nazionalismo ucraino. Nel 1929, un processo esemplare nella sua portata mandò il fior fiore dell'intellighenzia ucraina all’esecuzione, in prigione o nei gulag. Poi si verificarono quelle che costituirono le tappe più importanti della sovietizzazione dell'Ucraina: le carestie del 1922 e del 1933, quest'ultima, nota come Holodomor, causò quattro milioni di morti.
 
L’Ucraina subirà il destino ordinario dell’oppressione sovietica con una nuova carestia nel 1947 e le grandi purghe del 1937.
 
Quando l'Ost Heer tedesco entrò in Ucraina, fu ben accolto da una popolazione contenta della ritirata dell'oppressore. Si tratta della prima e profonda rottura tra “russi” e “ucraini” con la creazione di uno Stato ucraino sottomesso e alleato del Terzo Reich e l’arruolamento sotto la bandiera della svastica di un numero di soldati sufficiente a costituire una divisione intera delle Waffen SS. Questo non fu l’unico impegno ucraino a fianco dei nazisti: i volontari accorsero per rinforzare altre divisioni delle SS e per supervisionare i campi di concentramento. Ciò è dimostrato anche dall'arruolamento di molti ucraini nelle forze di polizia, nella Legione ucraina, nel 201° battaglione della Schutzmannschaft, nell'Esercito di liberazione ucraino, nell'Esercito ribelle ucraino (UPA) e soprattutto nella 14a divisione delle Waffen SS sopra menzionata, la divisione della Galizia. Ancora oggi, come vedremo in seguito, ne sono presenti reminiscenze come l'ormai famoso reggimento Azov i cui soldati indossano insegne ispirate a quelle delle Waffen SS.
 
Sul piano territoriale, l’invasione combinata della Polonia da parte dell’URSS e della Germania nel 1939 permise all’Ucraina sovietica di espandere il proprio territorio, ma al prezzo della repressione stalinista, che ci riporta alle esazioni sovietiche e all’ingresso di Ost Heer in Ucraina due anni dopo, acclamato come un liberatore da una parte notevole della popolazione. Ciò favorì la rapida diffusione delle pratiche naziste: gli ebrei furono giustiziati in gran numero, come anche l'apparato comunista dei commissari del popolo. Altri ucraini, rimasti fedeli ai loro antenati russi, si unirono all'Armata Rossa. Pagheranno questa scelta con 1.377.000 morti.
 
Nel 1945, su richiesta di Stalin, l'Ucraina, insieme a Russia e Bielorussia, fu uno dei membri fondatori dell'ONU. Quattro città, Odessa, Kerch, Sebastopoli e Kiev, furono dichiarate “città eroiche” dall’Unione Sovietica
 
I massicci trasferimenti di popolazione stabiliti dalle conferenze di Yalta e Potsdam sono la conseguenza dello spostamento dei confini dell'URSS verso ovest. Parte della Polonia venne annessa alla SSR ucraina, così come la Rutenia precarpatica, diverse isole rumene nel Mar Nero e, nel 1954, in occasione del 300° anniversario del Trattato di Pereyaslav, anche la Crimea – quest'ultima su ordine di Krusciov.  Alla fine, l’Ucraina avrà guadagnato il 15% del territorio ma avrà perso più di 7 milioni di cittadini. Contava all’epoca 36 milioni di abitanti, due dei quali avevano un futuro interessante: Nikita Krusciov e Leonid Brezhnev. Nel post-stalinismo, il Partito Comunista Ucraino potrà muovere diverse pedine – Kirichenko, Podgorny – e i loro diretti collaboratori.
 
Comprendiamo meglio l'annessione della Crimea, giustificato anche dal fallimento agricolo di cui furono responsabili i coloni russi che non si adattarono alle condizioni climatiche. Kruscev, giunto al potere a Mosca, si dimostrò buon amministratore e dotato di buon senso politico, allentando il cappio della stalinizzazione, riabilitando la Chiesa cattolica ucraina ma accentuando la repressione della Chiesa ortodossa.
 
In ogni caso il verme è nel frutto.
 
La caduta del muro di Berlino (1989) ha portato l’Ucraina dallo status di Stato marginale a quello di Stato a pieno titolo. Tuttavia, i due vicini restarono strettamente uniti, soprattutto economicamente, con il passaggio del gasdotto e la complementarità delle loro industrie. Ma nascosti nell'ombra, gli Stati Uniti, che avevano dato a Putin le più ferme assicurazioni sulla sicurezza della Russia, non intesero lasciarsi sfuggire un'occasione del genere per sfruttare il proprio vantaggio e avanzare il più profondamente possibile le proprie pedine nel cuore della nuova Russia. La cronologia di questa strategia è chiara e Putin la capirà rapidamente:
 
l’assicurazione data a Gorbaciov nel 1997 da George Bush e James Baker che la NATO non avrebbe mai approfittato dell’eclissi della Russia per avanzare nemmeno di un centimetro verso est. Affermazione confermata da Roland Dumas;
 
rifiuto di prendere in considerazione la richiesta russa di non allargamento della NATO (confini del 1997) e di non nuclearizzazione dell'Europa orientale;
 
Continuazione del contenimento attraverso il rovesciamento dei regimi arabi favorevoli a Mosca (Iraq, Libia, Siria) e indebolimento dell’Iran teocratico;
 
rifiuto della richiesta di porre fine alla politica di Kiev di “derussificazione” dell'Ucraina e di sottomissione delle province russofone e russofile dell'Est.
 
L’Ucraina è diventata, suo malgrado, il campo chiuso di un confronto tra gli Stati Uniti che vogliono sfruttare il proprio vantaggio attraverso una politica di doppio contenimento basata su un’Ucraina ancorata all’Europa e alla NATO, e la Russia che si oppone all’insediamento sulla sua frontiera dell’Alleanza atlantica che moltiplica le aggressioni proprio motu.
 
In Ucraina, punto nevralgico di questo confronto, ogni fazione ha avuto il suo campione, Yourshchenko per gli Stati Uniti, Yanukovich per la Russia, con diversi obiettivi. Con il sostegno finanziario di Washington, i “filo-occidentali” lanciarono la “Rivoluzione arancione” che spodestò Yanukovich, nonostante avesse vinto le elezioni. Il movimento OTPOR – che aveva provocato la caduta di Milosevic in Serbia e fu poi coinvolto nella Rivoluzione delle Rose in Georgia – prese parte attiva alla sedizione. Dal canto suo, Yulia Tymoshenko, musa ispiratrice degli occidentali, giocò tra i due rivali e riuscì a farsi nominare capo del governo, mentre l'Unione Europea, la cui Commissione era presieduta da Barroso, si impegnava promettendo all'Ucraina un aiuto finanziario a condizione dell'adesione all'UE. La bancarotta del governo Yurshchenko riportò al potere il filo-russo Yanukovich, il che fu intollerabile per gli Stati Uniti, che ancora una volta mascherarono la sedizione. Da parte sua, Yulia Tymoshenko venne processata e condannata al carcere per corruzione, il male endemico del paese.
 
L’Ucraina ha poi sperimentato una certa tregua e un ritorno ad una certa prosperità sostenuta dalla Russia. Si sarebbe potuto confidare nella pacificazione, nella saggezza che suggerisce a ognuno di farsi gli affari propri.
 
Al contrario, dal 2014 in poi si sono moltiplicate le provocazioni, la prima e la più grave delle quali è stata il colpo di stato di Maidan finanziato da Washington, come si sarebbe vantata l’ambasciatrice Victoria Nuland – rivelando la cifra di cinque miliardi di dollari per il suo finanziamento -, con la complicità del National Endowment for Democracy (NED); il secondo, passato inosservato, è stato il blocco di Southstream in Bulgaria. A ciò si aggiunge il provocatorio divieto della lingua russa nelle province orientali dell’Ucraina. 
 
Putin rispose su tre livelli: intervenne per salvare la Siria di Bashar el Assad, ultimo baluardo contro lo Stato islamico e punto di passaggio del gasdotto Kuwait/Turchia, accolse le richieste della Rada di Crimea per la reintegrazione nell'imperium russo. Per il Cremlino in questi due casi si trattava di garantire l'accesso della Russia ai mari caldi. Infine annetté l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud.
 
Il cambiamento dello status e della nazionalità della Crimea, ratificato da due consultazioni elettorali in una settimana da parte della popolazione, si basa sul precedente del Kosovo al quale corrisponde in tutto e per tutto. Invece di farne il punto di partenza di una consultazione che avrebbe potuto portare al riconoscimento de jure dello Stato del Kosovo, gli Stati Uniti ne hanno fatto un cavallo di battaglia inutile e incompatibile con i propri principi.
 
Stavano infatti emergendo due fatti importanti che getteranno nuova luce sui disordini che all’epoca sono iniziati nella penisola: gli Stati Uniti, come Germania e Francia, finsero di non accorgersi delle numerose diserzioni all'interno dell'esercito ucraino, di militari riluttanti a partecipare alle operazioni di ristabilimento dell’ordine. Questo è anche il motivo per cui il governo nato dal colpo di stato di Maidan dovette fare appello alle milizie – alcune delle quali apertamente neonaziste – per reprimere i disordini. Vennero perpetrati dei massacri sui quali i media occidentali hanno taciuto, come avvenne in Bosnia vent'anni prima.
 
Per sancire la secessione della Crimea, l’Occidente reagì come sa fare, con una ricetta ormai collaudata: l’embargo. Applicata ad Haiti, all'Iraq, all'Iran, questa ignominia non ha altra conseguenza che quella di moltiplicare vittime di ogni tipo. A Baghdad un milione di iracheni, donne e bambini in primis, sono morti in nome di una moralità più che discutibile, anzi del diritto del più forte. Ma vi furono conseguenze impreviste.
 
L’economia russa reagì, contrariamente alle speranze di statunitensi ed europei. La crescita industriale, ferma per due anni, riprese con forza, non solo attraverso la rigenerazione delle fabbriche di armi, ma anche attraverso lo sviluppo dell'industria e delle attività proprie dell'agricoltura: la Russia si spostò dal campo dei paesi importatori di cereali a quello degli esportatori. La cantieristica navale si riprese facendo sì che la Francia perdesse il mercato della portaelicotteri Mistral e buona parte della sua credibilità come esportatore di armi.
 
A Minsk iniziarono colloqui sotto l'egida di Germania e Francia che hanno portato ad accordi garantiti dai due paesi “neutrali”. Cosa è stato davvero fatto lo riveleranno nel 2022 l'ex cancelliere Merkel e l'ex presidente Hollande, che hanno chiarito che la firma del trattato era solo uno stratagemma destinato a dare all'Ucraina il tempo necessario al suo riarmo. Una simile ammissione pesa molto perché mina l’idea diffusa di un’aggressione gratuita da parte della Russia nel 2022. Inoltre, il 17 febbraio 2022, Kiev ha lanciato un’azione militare per riconquistare le repubbliche di Donetsk e Lugansk, sapendo chiaramente che Mosca non avrebbe potuto non reagire. Si chiama trappola. È qualcosa di machiavellico, tanto più che, dall’ottobre 2021 al febbraio 2022, la Russia aveva fatto attenzione a non provocare incidenti nonostante l’aumento dei voli e dei pattugliamenti marittimi nelle immediate vicinanze del suo territorio.
 
Si sono intensificati i bombardamenti sulle province orientali di Donetsk e Lugansk che si erano proclamate repubbliche autonome (16.000 morti in sette anni dal 2015 al 2022). Dobbiamo anche ricordare la dichiarazione dell’Ambasciatore russo presso l’ONU dell’11 novembre 2021 secondo la quale “La Russia non ha mai pianificato l’invasione dell’Ucraina e che ciò non avverrà mai a meno che non saremo provocati dall’Ucraina o da qualcun altro e che la sovranità nazionale della Russia sia minacciata”. Da parte sua, Sergei Lavrov, capo della diplomazia, non escludeva che Kiev si imbarcasse in un'avventura militare nel Donbass. Sono fatti passati sotto silenzio da una stampa occidentale che ha deciso di accusare il suo cane di avere la rabbia per poterlo uccidere.
 
Coerenti fino in fondo, gli Stati Uniti saboteranno il gasdotto NordStream per rendere definitiva la rottura delle relazioni dell'Europa, e in particolare della Germania con la Russia, e poi organizzeranno il sostegno logistico, militare e finanziario all'Ucraina. Getteranno sulla bilancia il formidabile strumento di propaganda che sono i loro media. Ci sono molte somiglianze tra la crisi ucraina e la preparazione all’invasione dell’Iraq nel 2003, che i media ignorano spudoratamente: gli USA hanno costruito una minaccia che non esisteva con le conseguenze che conosciamo.
 
Incontrai personalmente a Baghdad l'ambasciatore svedese Equus, capo della missione ONU per l'ispezione e il controllo delle armi di distruzione di massa, e gli chiesi quali fossero i risultati delle sue indagini. Tutto quello che ottenni fu un silenzio imbarazzante, mentre i bambini morivano a centinaia per mancanza di medicine. Ricordiamo che il blocco ha causato la morte di un milione di bambini e adulti in Iraq.
 
Per quanto riguarda il seguito per l'Ucraina, mi limiterò a fornire elementi di fatto che non possono essere negati, ma dei quali i protagonisti non erano necessariamente consapevoli in tempo reale.
 
A partire da Maidan, gli Stati Uniti – i neoconservatori – e la Gran Bretagna collaborano attivamente per armare l’Ucraina: armi ed equipaggiamenti, consiglieri militari, sorveglianza.
 
 
Il corso della guerra
 
Il 17 febbraio 2022 Kiev ha lanciato un’azione militare per riconquistare le repubbliche di Donetsk e Lugansk. Questo attacco ha avuto il sostegno della NATO. I media occidentali non hanno detto una parola al riguardo, pur dovendosi attendere una sicura reazione da Mosca. Non verranno delusi. Il presidente Putin, che senza dubbio aspettava solo questo per adempiere al suo dovere di assistere le province dimenticate dell’Ucraina orientale, ha attraversato il Rubicone, in questo caso il Dnepr, ed è entrato nel territorio ucraino. È diventato lui l'aggressore, agli occhi del mondo intero: le sue giustificazioni non produrranno alcun effetto, soprattutto quando sono rivolte ad una prudente opinione occidentale. Gli statunitensi hanno vinto il primo round.
 
In effetti, a un esame più attento, cosa che gli “esperti” militari si guardano bene dal fare, la forza da battaglia russa non è affatto impressionante: la prima ondata d’assalto contava 60.000 uomini (rispetto ai 265.000 soldati dell’invasione dell’Iraq) e il corpo di spedizione tra 120.000 e 150.000. Senza essere un fine stratega, è chiaro che si trattava effettivamente di una "operazione militare speciale" e non di un'invasione che minacciava l'intera Europa. Anche la conquista di Kiev sembra difficile pensare che fosse un obiettivo dell’operazione, considerando che si era impegnata una parte limitata dell’esercito russo, che non può ragionevolmente pensarsi sia stata inviata ad attaccare una città di 12.000 km² con più di 4 milioni di abitanti. Inoltre, gli stati maggiori, a qualunque campo appartengano, sanno che l'esercito russo è addestrato per la difesa e non per le operazioni esterne come gli eserciti europei e statunitense. La caduta del muro di Berlino ha sancito questa configurazione con tagli drastici ai bilanci, ad eccezione di quello della forza nucleare sottomarina. La ripresa è iniziata negli anni 2000 con l’arrivo di Putin al potere.
 
In effetti, contemporaneamente è iniziata la guerra psicologica, prova che il campo della NATO stava aspettando questo momento. Abbiamo cominciato glorificando l’esercito ucraino per la sua resistenza all’invasore. Abbiamo continuato affermando che l’esercito russo non era riuscito a conquistare Kiev quando questa conquista era semplicemente impossibile per un esercito inferiore numericamente, non abituato al terreno e impreparato alla guerriglia urbana. Per fare un confronto, ricordiamo che l’IDF ha impegnato 180.000 uomini a Gaza, su un territorio più piccolo, contro la resistenza di Hamas di 20.000 uomini.
 
L'affermazione che la superiorità russa sia schiacciante è smentita dai numeri: il governo di Kiev conta 250.000 soldati, il secondo contingente in Europa (dopo l'esercito russo), 53.000 guardie di frontiera, la Guardia nazionale (60.000 uomini) e consiglieri militari stranieri. Non è un esercito piccolo, soprattutto da quando è ormai esperto nelle battaglie contro i separatisti del Donbass. Le forze russe che operano in Ucraina si trovano in un rapporto di forze molto sfavorevole, dell’ordine di 1 a 3. A ciò aggiungiamo che l’esercito ucraino aveva stabilito, soprattutto intorno al Donbass, linee di difesa molto solide.
 
I combattimenti si sono stabilizzati dopo poche settimane quando le forze russe hanno ripiegato verso la fittizia linea di separazione tra l'Ucraina e gli oblast orientali.
 
Si deve constatare che entrambi i belligeranti hanno bluffato, gli statunitensi scommettendo sulla passività di Mosca, i secondi scommettendo che la concentrazione delle truppe al confine avrebbe scoraggiato Kiev.
 
Il vero fattore scatenante, l’attacco ucraino del 17 febbraio, è passato sotto silenzio e il Cremlino si è “dimenticato” di menzionarlo. Errore grave a cui non sarà possibile porre rimedio.
 
Subito vennero avviati con discrezione dei colloqui a Istanbul, con la mediazione di Israele. Procedevano bene, ma Boris Johnson intervenne per sabotarli dietro le quinte. L’ex primo ministro britannico incarna l’attivismo russofobo in rottura ideologica con lo spirito bellico che ha segnato il destino della Seconda Guerra Mondiale. 
 
Sul campo, lo stato maggiore russo sapeva che non avrebbe vinto una guerra, ma avrebbe salvato milioni di russi, che non sono solo russofoni e russofili ma semplicemente russi, da un’impossibile convivenza con gli ucraini. Ha raggruppato le sue forze, fortificato le sue posizioni e continuato le operazioni con le sue armi, quelle in cui eccelle, l'artiglieria e il cielo. Gli ucraini sono caduti nella trappola, ingannati dalla facilità con cui venivano consegnate loro le armi più disparate, fornite in misura insufficiente, che il nemico si incaricava di bombardare. La propaganda che, per esprimersi, ha bisogno che tutti i media russi siano banditi come nei momenti migliori dell'inquisizione, questi media annunciavano la riconquista, le vittorie, i fallimenti russi, una grande offensiva per giugno 2023.
 
A febbraio i risultati non sono stati affatto quelli previsti dalla stampa unanime: le forze russe sono rimaste saldamente aggrappate al 18% del territorio in loro possesso, gli assalti ucraini sono stati respinti nonostante la superiorità numerica e le perdite sono diventate insostenibili.
 
Il 9 febbraio 2024, l’agenzia Tass ha fornito il seguente bilancio delle perdite ucraine: 570 aerei, 265 elicotteri, 12.137 droni, 464 sistemi antiaerei, 14.953 carri armati e altri veicoli corazzati, 1.218 lanciarazzi multipli, 80.000 pezzi di artiglieria e mortai, 18404 veicoli speciali. C’è da pensare che i rifornimenti abbiano stentato a compensare le perdite e che la mancanza di forza sia evidente. La cosa più grave è la pesantezza delle perdite umane da parte ucraina: da 400.000 a 500.000 morti contro gli 80.000 della parte russa. Secondo lo stato maggiore russo, la scorsa settimana le perdite ucraine sono ammontate a 2.500 morti. Gli esperti che popolavano le radio e le televisioni per prevedere il collasso russo hanno dovuto confrontarsi coi fatti e cominciare ad ammettere almeno la stabilizzazione definitiva dell’avanzata russa. Ancora una volta il rullo compressore russo ha mostrato la sua forza irresistibile, che ci piaccia o meno. Sarà molto difficile cacciare un esercito che si è vieppiù agguerrito, appoggiato da una popolazione che lo ha scelto, lo si ammetta o no, e che teme il ritorno degli ucraini e lotta per mantenere il suo status di terra russa.
 
Allo stesso tempo, le sanzioni contro l’economia, il patrimonio e il commercio russo hanno fatto cilecca, perché il tasso di crescita di un paese di cui Bruno Lemaire aveva previsto il collasso è triplo del nostro (3,6 punti contro 1,01). E tuttavia avremmo potuto trarre utili informazioni dall’esito che avevano avuto le sanzioni del 2015, che hanno portato al blocco delle esportazioni francesi di cereali verso un importante cliente che è diventato invece uno dei nostri concorrenti, e all'annullamento del contratto per due navi portaelicotteri Mistral. Nella guerra dei comunicati in cui l'UE si distingue per la sua parzialità e per i ritrovati toni della propaganda della Guerra Fredda, Human Rights Watch ha denunciato il massacro di 8.000 civili a Mariupol. Mosca ha puntato il dito contro le milizie neonaziste.
 
  
La conclusione
 
Se, dopo due anni di guerra, fosse assolutamente necessario trarre insegnamento, possiamo proporre quanto segue:
 
1. Gli Stati Uniti non hanno raggiunto i loro obiettivi di guerra. Non sono riusciti a “fare” restituire al governo di Kiev i suoi “territori perduti”. Meglio ancora, la Russia, che non necessariamente prevedeva di farlo prima che l’artiglieria ucraina si scatenasse contro le repubbliche autoproclamate del Donbass, ha annesso le quattro oblast dissidenti, seguendo una procedura (referendum, deliberazione della Duma) che molti paesi del mondo considereranno valido. Questo “ritorno” all’ovile russo sarà molto difficile da mettere in discussione quando può legittimamente invocarsi il precedente del Kosovo. Quando si viola il concetto di sovranità statale, si apre il vaso di Pandora: questo è ciò che ha fatto la stragrande maggioranza dei membri dell’UE. La Spagna, la Bulgaria, la Slovacchia, più coerentemente, non hanno voluto riconoscere uno Stato indipendente del Kosovo. La Russia, d’altro canto, si è presa le stesse libertà dell’UE riguardo al diritto internazionale. Quanto alla NATO, da molto tempo non rispetta nulla, nemmeno le risoluzioni dell'ONU.
 
2. La Russia si è ampliata coi territori russofoni e russofili nella parte industrializzata del paese. Ha recuperato la centrale nucleare di Zaporizhia e ha rafforzato il suo accesso al Mar Nero. A parte l’Unione Europea, le sue relazioni esterne non sono toccate dalle sanzioni: il gruppo BRICS non si è mai comportato così bene e alla fine minaccia il dollaro. Gli organi di stampa russi messi al bando dal presidente della Commissione europea e dal governo francese in nome di una concezione molto particolare della democrazia, le agenzie Tass, Sputnik e Russia Today utilizzano quelli dei paesi neutrali. È l'unico modo per avvicinarsi alla verità e relativizzare le accuse di crimini di guerra o di genocidio pronunciate senza misura da giornalisti occidentali come Christine Ockrent che non conoscevamo sotto questo aspetto. Lo svantaggio del lavaggio del cervello è che scatena una reazione opposta a quella prevista alla prima occasione in cui le cose non vadano nella direzione auspicata dai propagandisti. Vladimir Putin ha capito perfettamente come porre fine a questa strategia, traendo ancora una volta lezioni dal precedente jugoslavo. Accusato con leggerezza di essere gravemente malato o minacciato di deposizione da una lobby guidata da Dimitri Medvedev, il leader russo – che va ricordato è sotto mandato di cattura internazionale – si è permesso il lusso di rilasciare una lunghissima intervista al giornalista statunitense Tucker Carlson l'8 febbraio 2024. La cosa ha suscitato molto scalpore... fuori dall'Europa. Il leader russo ha saputo apparire nella sua luce migliore, lucido e moderato, totalmente padrone delle questioni trattate. Ha saputo presentarsi non come avvocato ma come politico. Pochi giorni dopo, per dimostrare la sua buona salute mentale e fisica, è stato filmato al comando di un grande aereo Ilyushin, il più grande del mondo. Queste prestazioni lo collocano molto al di sopra di Joe Biden, il cui affaticamento mentale e fisico favorisce il rivale Donald Trump.
L’industria bellica russa si è ripresa in modo straordinario. Ora garantisce senza fallo il rifornimento dell’artiglieria pesante che mantiene la linea del fronte e infligge gravi perdite al nemico. Dall’altro lato, le fabbriche europee si dimostrano incapaci di mantenere un ritmo di produzione che dovrebbe raggiungere il milione di proiettili all'anno per essere equivalente a quello della sola Russia. Un dettaglio da evidenziare è che la produzione di bombe richiede la fornitura di prodotti chimici che solo la Russia può vendere... Infine, per completare il quadro, bisogna sapere che alla fornitura di munizioni dell'esercito russo partecipano la Corea del Nord e l'Iran.
 
3. L'Ucraina è la più colpita dal conflitto: perdite umane insopportabili, nell'ordine del mezzo milione, devastazioni dovute ai bombardamenti, data la schiacciante superiorità dell'artiglieria russa unita al controllo totale del cielo. Il consumo frenetico di munizioni che ha infranto i record della Prima Guerra Mondiale ha svuotato gli arsenali della NATO che, dal canto suo, non propone nulla. Gli aiuti esterni che erano calibrati sulla previsione di una guerra breve stanno diminuendo e negli Stati Uniti si manifesta riluttanza a continuare le consegne e il sostegno finanziario senza un termine prevedibile. Non è il trattato firmato con il presidente Macron che potrà cambiare qualcosa, soprattutto perché la Francia è sull’orlo della bancarotta e il suo esercito non è più in grado di difendere il territorio nazionale. L’esercito francese, come la Bundeswehr, ha solo un giorno o due di munizioni a disposizione. Quest’ultima constatazione è tanto più grave in quanto è di moda credere in un’offensiva dell’esercito russo contro la NATO, cosa che fortunatamente il presidente Putin non prende affatto in considerazione. Ma cosa dovremmo pensare di un presidente francese che corre il rischio di un prolungamento del conflitto svuotando gli arsenali francesi?
L'esercito ucraino sta affrontando una grave crisi di comando: il generale Valeri Zalouzhni è stato brutalmente licenziato e il nuovo capo di stato maggiore, generale Alexander Syrski, sarebbe molto impopolare tra i militari che lo chiamano “macellaio”» e “generale 200”. Lui stesso ammette la necessità di “ricostituire le forze armate ucraine”.
 
4. Ragione vorrebbe che si ponesse fine ai combattimenti e Vladimir Putin sembra accettarlo in linea di principio. Ma Volodimir Zelenskyj ha lavorato così duramente e la propaganda occidentale è stata così scatenata che è difficile per Ursula Von der Leyen ed Emmanuel Macron ammettere che non vinceranno e che devono deporre le armi. Hubert Védrine lo ha recentemente scritto: la situazione ha maggiori probabilità di incancrenirsi perché la Russia non accetterà mai di restituire all'Ucraina territori i cui abitanti sa essere vigorosamente ostili a qualsiasi status quo ante. Putin capisce e il popolo accetta di pagarne il prezzo. Ancora di più: la Russia può sostenere un enorme sforzo bellico senza mettere in ginocchio l’economia come previsto dall’“immenso” Bruno Le Maire. In questo stato d'animo pesa il precedente jugoslavo. Avendo seguito la politica tedesca e vaticana su questo tema, credo che l’Europa debba oggi tacere. L’embargo senza compromessi imposto a un popolo coraggioso – come lo è stato a un altro popolo coraggioso, gli iracheni – ritorna come un boomerang addosso al lanciatore. Non è un peccato, in fondo.
 
5. In definitiva, le due lezioni più convincenti di questa guerra sono la sconfitta della propaganda e la debolezza di una NATO che non molto tempo fa il presidente francese aveva definito “morta cerebralmente”. In un’area in cui gli Stati Uniti dispongono di risorse ben superiori a quelle del loro potenziale nemico, con il budget più colossale del mondo, non sono stati in grado di invertire il corso di un conflitto che alla Russia era vietato perdere. Perché era in gioco l'esistenza stessa non solo della Federazione Russa, ma di una nazione che si sta riprendendo da tutto, dal comunismo, dal deterioramento dei suoi mezzi di produzione, dal tenore di vita dei suoi abitanti, dalle numerose diserzioni. Il popolo russo non è cosa niente. È la canna della favola: si piega fino a spezzarsi ma non si spezza mai. Due volte negli ultimi due secoli l'invasore ha raggiunto Mosca. Tuttavia, la Grande Armée o l'Ost Heer non hanno vinto. Indovinate perché.
 
 
Se davvero dovessimo prendere la direzione della pace, il percorso sarebbe quasi impossibile: dissoluzione della NATO, ristabilimento dei rifornimenti di gas, allontanamento dagli Stati Uniti. Chi è pronto per questo? Non certo chi ha la memoria corta, dimentica o minimizza le proprie turpitudini, si mostra sprezzante nella vittoria, incapace nella sconfitta. E, soprattutto, ingiusto verso la Storia.
 
Due richiami al riguardo:
 
Il generale Schmitt, capo di stato maggiore delle forze armate (CEAM), mi confidò un giorno, durante la guerra jugoslava, quando era di moda accusare la Serbia di tutti i crimini e assolvere le truppe di Izetbegovic da ogni abuso, che "nelle guerre civili, le responsabilità e i crimini sono distribuiti equamente".
 
Nessuna nazione, nessuna organizzazione internazionale è qualificata per impartire lezioni morali; quando ci indigniamo per il destino del signor Navalny, chiudiamo un occhio su quello del signor Assange. In verità, l’unica regola che prevale è quella del diritto del più forte. Gli statunitensi lo sanno meglio di chiunque altro.
 
 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura
 
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