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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 6 settembre 2017 (trad. ossin)
 
Perché Teheran non ha problemi coi suoi Curdi?
Alain Rodier
 
 
Mentre la guerra civile siriana ha consentito ai Curdi siriani e iracheni di emanciparsi un po' di più dai governi centrali, e mentre il PKK ha ripreso la lotta contro Ankara nell'estate 2016, i loro omologhi iraniani restano sorprendentemente assenti dalla scena nonostante siano forti di oltre cinque milioni di anime, vale a dire il 10% della popolazione iraniana. E tuttavia essi sono i soli nella Storia ad avere sperimentato un Kurdistan «indipendente», sebbene effimero. Proclamato il 22 gennaio 1946, è durato solo un annetto e si è concluso con l'impiccagione, il 31 marzo 1947, del suo capo, Qazi Mohammad. Collocato alla frontiera con la Turchia e l'Iraq, il Kurdistan iraniano, il «Rojhelat» (in curdo: «l'Est[1]») è molto dipendente dall'influenza dei suoi vicini
 
 
Il Kurdistan iracheno sotto il controllo di Teheran
 
I Curdi iracheni hanno tratto vantaggio dalla guerra contro Daesh. Hanno guadagnato più territorio di quanto non venisse loro riconosciuto dalla Costituzione del 2005. La loro forza militare è considerevolmente cresciuta con l'apporto di molte nuove armi, l'addestramento delle loro truppe da parte dell'Occidente e l'esperienza incomparabile acquisita sul campo dai peshmerga. Il referendum sull'indipendenza fissato per il 25 settembre, anche se molto contestato all'estero, sarebbe stato prima impossibile da realizzare, ma la legittimità ottenuta dalla guerra contro Daesh  lo ha reso oggi possibile, soprattutto nelle zone contestate da Bagdad.
 
Il Governo Regionale del Kurdistan (KRG), dominato dal Partito Democratico del Kurdistan (PDK) di Massud Barzani, fa molta attenzione a non offendere la sensibilità della Turchia, paese attraverso il quale passa la quasi totalità degli scambi commerciali (in particolare il petrolio) di questa provincia irachena. L'altro movimento curdo iracheno, l'Unione patriottica del Kurdistan (UPK) di Jalal Talabani, con sede a Souleimaniye, è molto vicino a Teheran. E vi è in qualche modo costretto, trovandosi proprio lungo la frontiera iracheno-iraniana.
 
Teheran interviene dunque regolarmente su Bagdad, sul KRG e sull'UPK perché tutti gli oppositori iraniani – compresi i Curdi – siano «tenuti a bada», addirittura espulsi dal paese.
 
Il movimento insurrezionale curdo iraniano controllato dal PKK
 
Il PKK ha fondato il «cugino» iraniano, il Partito per una vita libera nel Kurdistan (Partiya Jiyana Azad a Kurdistanê/PJAK[2]), nel 2004. Condivide con esso il controllo degli accampamenti lungo le pendici del monte Qandil, sulla frontiera iracheno-iraniana. Ma il PKK ha mutato strategia a causa di quanto accaduto in Siria e in Turchia a partire dal 2011.
 
In Siria, i suoi «cugini» del PYD (il Partito dell'Unione democratica curda) creato nel 2012[3] hanno ottenuto una autonomia di fatto lungo quasi tutta la frontiera con la Turchia. Il PKK ha direttamente partecipato ai combattimenti contro Daesh, al fianco dell'YPG. Nel 2014, ha anche combattuto in territorio iracheno per difendere la regione del Sinjar, dove è stato il primo a mobilitarsi a protezione della popolazione yazida locale contro Daesh, mentre i peshmerga avevano ripiegato verso nord, abbandonando la popolazione alla sua sorte. Da allora, controlla la regione insieme a unità dell'YPG e a milizie yazide, con grande scontento da parte di Massud Barzani. Infatti quest'ultimo subisce pressioni costanti da parte di Ankara perché espella i combattenti del PKK e dell'YPG - la Turchia considera questi due movimenti come «terroristi» - e lo minaccia perfino di un intervento militare. Se la cosa sembra poco credibile, è anche vero che il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha spesso colto di sorpresa la comunità internazionale con le sue iniziative intempestive.
 
In Siria e in Iraq, il PKK gode tuttavia di una benevola neutralità da parte delle milizie sciite, di Hezbollah libanese e dei pasdaran che si trovano da quelle parti. La cosa non deve stupire se si pensi che Teheran ha da sempre giocato la carta curda per destabilizzare i suoi vicini, pur mantenendo i suoi sotto controllo. Per esempio,  Osman Öcalan, il fratello del fondatore del movimento (Abdullah Öcalan) ha vissuto per anni in Iran senza avere alcun fastidio. Di conseguenza il PKK non desidera oggi, per motivi strategici, mettersi contro Teheran. Ha imposto quindi al PJAK di fermare le sue attività in Iran. Cosa che gli è venuta facile, dal momento che il PJAK dipende totalmente dal PKK per la sua logistica.
 
Tutto ciò potrà avere sviluppi nel futuro. Il PKK è di nuovo in guerra con Ankara dall'estate del 2016. Nel frattempo la Turchia si è riavvicinata all'Iran e le due capitali hanno firmato un accordo per lottare contro il «terrorismo». L'espressione è vaga, ma include soprattutto i movimenti separatisti curdi (PKK e PJAK). Tutto dipenderà da cosa deciderà di fare Teheran. Se gli Iraniani riprendessero a intervenire contro le postazioni che si trovano nella regione del monte Qandil – cosa che nel passato facevano di tempo in tempo -, rischia di rompere la tregua col PKK, che potrebbe allora autorizzare il PJAK a riprendere la lotta armata in Iran.
 
Washington, che mostra una ostilità crescente nei confronti di Teheran e che sostiene le Forze democratiche siriane (FDS) – che sono composte in maggioranza da Curdi del PYD –, può essere tentata a sua volta di appoggiare il PJAK nella sua lotta per l'autonomia del nord-ovest dell'Iran, nell'intento di indebolire il regime dei mullah. Gli Israeliani, discretamente presenti nel Kurdistan iracheno, potrebbero fare lo stesso, dal momento che l'Iran è per loro il nemico numero UNO da abbattere.
 
Un argomento passato sotto silenzio: i Curdi di Daesh
 
Non si devono infine dimenticare i Curdi – in maggioranza sunniti – che hanno sposato la causa di Daesh. E' un argomento quasi del tutto passato sotto silenzio perché non si concilia con l'epopea che si sta scrivendo sui Curdi, «nuovi combattenti per la libertà».
 
In Iran, i cinque attivisti che hanno realizzato due importanti operazioni terroriste a Teheran il 7 giugno 2017 contro il mausoleo dell'imam Khomeyni e il Parlamento (23 morti compresi i terroristi) sarebbero di origine curda. Queste azioni sono state ufficialmente rivendicate da Daesh. In linea generale, la minaccia salafita-jihadista in Iran proviene da rientrati provenienti dal fronte siro-iracheno che si sono uniti ai gruppi insurrezionali  - come Jaish Al-Adl o Ansar Al-Furqan, eredi del Jundallah fondato nel 2002 - nel Sistan-Belucistan nel sud-est del paese[4] e nelle regioni in maggioranza curde dell'ovet.
 
Per quanto nessuna prova sia stata fornita fino ad oggi, l'Iran accusa l'Arabia Saudita di sostenere – addirittura di manovrare – i salafiri-jihadisti presenti nel paese nel quadro della guerra felpata in corso tra i due Stati.
 
L'alleanza Qatar/Turchia /Iran, che si sta realizzando per contrastare l'influenza di Riad, può rimescolare le carte nel Vicino Oriente, soprattutto per i Curdi. Non si possono escludere ribaltamenti di alleanze. Così il PYD siriano si preparerebbe a  lanciare segnali all'Arabia Saudita nel caso in cui gli Stati Uniti venissero meno, una volta caduta Raqqa. Riad rischia effettivamente di voler giocare la carta curda per danneggiare i suoi avversari diretti – Iran e Qatar – e indiretti – la Turchia.
 
Poiché l'economia non è mai molto distante dalla politica, riemergono progetti di sfruttamento e trasporto di idrocarburi. Gli sbocchi mediterranei per questi idrocarburi interessano in massimo grado il Qatar e l'Iran, ma per questo occorre attraversare l'Iraq e la Siria, perfino passare per la Turchia. Anche su questo i Curdi hanno qualcosa da dire, anche se sono geograficamente circondati. Inutile precisare che questi progetti sono l'ossessione di Riad che farà di tutto per contrastarli, compreso – se sarà possibile – utilizzando la carta curda: PKK contro la Turchia, insurrezione nell'ovest dell'Iran, crescita dell'instabilità nel nord dell'Iraq e della Siria...
 
 
Note:
 
    [1] Per contrasto il Kurdistan siriano si chiama «Rojava» («l'Ovest»).
    [2] Vi sono diversi movimenti di opposizione curda in esilio come il Partito democratico curdo in Iran (PDK-I) e il partito  Komala; ma, col tempo, hanno perso i legami che avevano ancora con il paese.
    [3] Il suo braccio armato è l'YPG: le Unità di protezione del popolo.
    [4] Gli Iraniani temono infiltrazioni dal vicino Pakistan.