ProfileLe schede di ossin, 24 febbraio 2024 - Quando la vera storia dei nostri ultimi cento anni sarà finalmente scritta e raccontata - probabilmente da un professore cinese in una università cinese - nessuno degli studenti crederà a una parola...      

 

Unz Review, 19 febbraio 2024 (trad.ossin)
 
Pravda statunitense: Gaza, Potere ebraico e Olocausto
Ron Unz
 
Condizionamento dei media e sottomissione dei gentili al potere ebraico
 
 
 
 
La settimana scorsa ho pubblicato un articolo in cui sottolineavo che, sebbene l’industriale tecnologico Elon Musk sia considerato l’uomo più potente e influente del mondo occidentale, recentemente si è umiliato, scusandosi profondamente per alcune delle sue critiche casuali alle attività ebraiche e impegnandosi a ravvedersi.
 
Viaggiando in Israele, ha incontrato il presidente di quel paese e ha posato per delle foto con il primo ministro Benjamin Netanyahu, promettendo di combattere l'"antisemitismo" sulla sua piattaforma Twitter. Poche settimane dopo ha intrapreso un pellegrinaggio ad Auschwitz, assumendo impegni ancora più forti nei confronti dei leader ebrei, negando di nutrire qualsiasi sentimento antisemita e dichiarando pubblicamente di considerarsi un “aspirante ebreo”.
 
Questi straordinari eventi mi hanno ricordato quel famoso episodio del Medioevo in cui l’imperatore Enrico IV del Sacro Romano Impero era “andato a Canossa” e si era prostrato davanti a papa Gregorio VII, chiedendo perdono per avere sfidato l’autorità suprema della Chiesa cattolica:
 
 
Ron Unz • www.ossin.org • 25 febbraio 2024
 
 
Musk è stato solo l’ultimo e il più esagerato esempio dei tanti gentili ricchi e potenti che hanno pubblicamente piegato le ginocchia sottomettendosi al potere ebraico. Anche se del tutto false, le accuse di “antisemitismo” si sono spesso rivelate fatali per la carriera degli individui anche di più alto rango, e poco prima della sottomissione di Musk, due presidi di università della Ivy League sono stati politicamente intimiditi e poi costretti a dimettersi per la loro riluttanza a vietare le proteste filo-palestinesi nei loro campus, un’epurazione improvvisa che non ha precedenti nella storia del mondo accademico statunitense.
 
Questa è certamente una situazione strana, che merita un’attenta analisi e spiegazione. La parola “antisemitismo” significa semplicemente criticare o detestare gli ebrei, e negli ultimi anni i partigiani di Israele hanno chiesto e spesso ottenuto che il significato del termine fosse esteso fino a comprendere anche l'antisionismo, vale a dire l'ostilità verso lo Stato ebraico.
 
Ma supponiamo di ammettere che sia così e di essere d’accordo con gli attivisti filo-israeliani sul fatto che “l’antisionismo” sia effettivamente una forma di “antisemitismo”. Negli ultimi mesi, il governo israeliano ha brutalmente massacrato decine di migliaia di civili indifesi a Gaza, commettendo il più grande massacro sotto gli occhi delle telecamere che vi sia mai stato nella storia del mondo, e i suoi massimi leader hanno usato un linguaggio esplicitamente genocida quando hanno reso pubblici i loro piani per i Palestinesi. In effetti, il governo sudafricano ha presentato una memoria legale di 91 pagine alla Corte internazionale di giustizia in cui citava quelle dichiarazioni israeliane, inducendo i giudici e pronunciarsi quasi all’unanimità e a stabilire che milioni di Palestinesi rischiano un genocidio per mano israeliana.
 
Al giorno d’oggi la maggior parte degli occidentali afferma di considerare il genocidio in una luce decisamente negativa. Dunque questo vuol dire per deduzione sillogistica che questa vasta maggioranza di persone è ”antisemita”? Sicuramente un visitatore proveniente da Marte rimarrebbe molto perplesso di fronte a questo strano dilemma ed alle contorsioni filosofiche e psicologiche che sembra sottintendere.
 
È piuttosto sorprendente che le élite al potere così “politicamente corrette” degli Stati Uniti e del resto del mondo occidentale tifino a gran voce per lo Stato di Israele razzialmente esclusivista, anche se uccide un numero enorme di donne e bambini e si impegna così alacremente per far morire di fame circa due milioni di civili nella sua furia genocida senza precedenti. Dopotutto, il regime molto più mite e cauto dell’apartheid sudafricano è stato universalmente condannato, boicottato e sanzionato solo a causa di una minuscola porzione di misfatti di tal genere.
 
Penso che parte della risposta a questo enigma possa essere trovata in una famosa opera letteraria di un paio di generazioni fa. Nel 1962 lo scrittore britannico Anthony Burgess pubblicò il suo romanzo distopico di commedia nera A Clockwork Orange (Arancia meccanica), che divenne subito dopo un film omonimo candidato all'Oscar diretto da Stanley Kubrick. Il protagonista era Alex, un giovane teppista violento e, secondo la trama, gli agenti governativi sottoponevano il malfattore a una terapia di repulsione, condizionandolo fortemente ad evitare determinati pensieri e comportamenti per timore di ammalarsi fisicamente.
 
 
 
Come ho scritto in un articolo del 2018, generazioni di controllo da parte dei media ebraici e di stridente attivismo politico ebraico hanno sottoposto con successo il 99% delle popolazioni gentili del mondo occidentale esattamente allo stesso tipo di processo psicologico, con enormi conseguenze sociali e politiche, come stiamo vedendo adesso mentre assistiamo allo stupefacente massacro di Gaza:
 
 
Credo che una ragione stia nel fatto che, per anni e decenni, i nostri media dominanti sono riusciti a condizionare la maggior parte degli statunitensi in modo tale da suscitare in loro una sorta di reazione allergica mentale ad argomenti sensibili agli ebrei, come se ogni sorta di questioni che li riguardino fosse assolutamente fuori dai limiti. E con le potentissime élite ebraiche statunitensi praticamente prive di qualsiasi forma di controllo pubblico, l’arroganza e il comportamento scorretto degli ebrei possono crescere indefinitamente senza limiti.
 
Talvolta ho anche sostenuto, a proposito della popolazione ebraica, qualcosa che è in grado di amplificarne notevolmente il carattere problematico, vale a dire l'esistenza di ciò che potrebbe essere considerata una sub-morfosi biologica di individui eccezionalmente fanatici, sempre pronti a lanciare attacchi verbali e talvolta fisici di una furia senza precedenti contro chiunque considerino non sufficientemente amichevole nei confronti degli interessi ebraici. Di tanto in tanto, un personaggio pubblico particolarmente coraggioso o temerario affronta qualche argomento vietato e viene quasi sempre sopraffatto e distrutto da un vero e proprio sciame di questi fanatici aggressori ebrei. Proprio come le dolorose punture degli altruisti guerrieri di una colonia di formiche possono in breve tempo indurre grandi predatori ad allontanarsi, la paura di provocare questi “berserker ebrei” può spesso intimidire fortemente scrittori o politici, inducendoli a scegliere le loro parole con molta attenzione o evitare addirittura del tutto di discutere alcuni argomenti controversi, avvantaggiando così grandemente gli interessi ebraici nel loro insieme. E quanto più queste persone influenti vengono intimidite e indotte ad evitare un certo argomento, tanto più quell’argomento viene percepito come strettamente tabù, ed evitato anche da tutti gli altri.
 
Ad esempio, circa una dozzina di anni fa stavo pranzando con uno studioso neoconservatore particolarmente eminente del quale ero diventato un po' amico. Ci lamentavamo del fatto che le élite intellettuali statunitensi sono in gran parte di sinistra, e io suggerii che la cosa poteva dipendere da quello che si insegnava nelle nostre università più elitarie. Molti dei nostri studenti più brillanti provenienti da tutta la nazione sono entrati ad Harvard e negli altri Ivies portando con sé una varietà di posizione ideologiche diverse, ma dopo quattro anni hanno lasciato quelle aule di apprendimento convertiti in stragrande maggioranza alle idee della sinistra liberal. Sebbene fosse d'accordo con me, pure riteneva che mancasse alla mia analisi qualcosa di importante. Si guardò nervosamente intorno, chinò la testa e a bassa voce disse: "Sono gli ebrei".
 
Un aspetto particolarmente problematico di questa dominazione ebraica quasi totale risiede nella natura della religione ebraica, soprattutto nella sua forma tradizionale talmudica. Come ho spiegato nello stesso articolo:
 
 
Se queste questioni ritualistiche costituissero le caratteristiche centrali del giudaismo religioso tradizionale, potremmo considerarla una sopravvivenza piuttosto pittoresca ed eccentrica dei tempi antichi. Ma, sfortunatamente, c'è anche un lato molto più oscuro, che coinvolge principalmente il rapporto tra ebrei e non ebrei, con il termine dispregiativo goyim molto spesso usato per descrivere questi ultimi. Per dirla senza mezzi termini, gli ebrei hanno anime divine e i goy no, essendo semplicemente animali sotto forma di uomini. In effetti, la ragione principale dell'esistenza dei non ebrei è di servire come schiavi gli ebrei, e alcuni rabbini di altissimo rango occasionalmente ribadiscono questo fatto ben noto. Nel 2010, il rabbino sefardita di Israele ha dichiarato nel suo sermone settimanale che l'unica ragione per l'esistenza di non ebrei è servire gli ebrei e lavorare per loro. L'asservimento o lo sterminio di tutti i non ebrei sembra essere l’obiettivo implicito ultimo della religione.
 
Le vite degli ebrei hanno un valore infinito, e quelle non ebraiche non ne hanno alcuno, il che ha implicazioni politiche ovvie. Ad esempio, in un articolo, un importante rabbino israeliano spiegò che se un ebreo avesse bisogno di un fegato, sarebbe perfettamente corretto, e certamente obbligatorio, uccidere un innocente gentile e prendere il suo. Forse non dovremmo essere troppo sorpresi del fatto che oggi Israele sia ampiamente considerato come uno dei centri mondiali del traffico di organi.
 
Come ulteriore esempio dell'odio feroce del giudaismo tradizionale verso tutti quelli che hanno origini diverse, salvare la vita di un non ebreo è generalmente considerato improprio o addirittura proibito, e farlo nel giorno di sabato sarebbe un'assoluta violazione degli editti religiosi.

 

 

Evidentemente il Talmud non è una lettura corrente tra gli ebrei ordinari di questi tempi, e sospetterei che, a parte gli ortodossi puri e forse la maggior parte dei rabbini, a malapena alcuni conoscono i suoi insegnamenti altamente controversi. Ma è importante ricordare che, fino a poche generazioni fa, quasi tutti gli ebrei europei erano profondamente ortodossi, e anche oggi suppongo che la stragrande maggioranza degli ebrei adulti abbia avuto nonni ortodossi. I modelli culturali e gli atteggiamenti sociali altamente distintivi possono facilmente penetrare in una popolazione considerevolmente più ampia, soprattutto quando ne ignora l’origine, condizione che accresce la loro influenza non riconosciuta. Una religione basata sul principio di "Ama il tuo prossimo" può essere rispettata o meno nella pratica, ma ci si può aspettare che una religione basata su "Odia il tuo prossimo" abbia effetti a catena a lungo termine, che si estendono molto al di là della comunità dei praticanti devoti. Se a quasi tutti gli ebrei, per mille o duemila anni, è stato insegnato a provare un odio feroce verso tutti i non ebrei ed è stata inoculata anche un'enorme infrastruttura di disonestà culturale per mascherare quell'atteggiamento, è difficile credere che una storia così maligna non abbia avuto assolutamente alcuna conseguenza nel nostro mondo attuale o in quello del passato relativamente recente.
 
 
Ron Unz • www.ossin.org • 24 febbraio 2019
 
 
Comportamento ebraico a Gaza e nella Russia bolscevica
 
Nel corso di quasi tutta la loro storia nel mondo occidentale, gli ebrei sono stati minoranze relativamente piccole e deboli, quindi questi caratteri problematici della religione ebraica tradizionale non si sono mai manifestati se non con grande cautela e in segretezza. Ma poiché nelle terre del Grande Israele gli ebrei sono la maggioranza dominante e con pieno potere, possiamo vedere questi atteggiamenti esprimersi in tutta la loro forza sulla pelle degli sfortunati Palestinesi.
 
Come è stato ampiamente documentato, una frazione molto consistente, forse addirittura la maggioranza, di tutti gli Israeliani morti il 7 ottobre è stata uccisa dalle loro stesse forze militari dal grilletto facile, ed è stata dunque vittima deliberata della famigerata “Direttiva Annibale”. " Molti altri erano soldati dell’IDF, personale di sicurezza o miliziani civili armati, e quindi obiettivi di guerra perfettamente legittimi. Mettendo insieme tutti questi elementi, penso che il numero di Israeliani disarmati uccisi dai combattenti di Hamas potrebbe aggirarsi tra i 100 e i 200, e molte o la maggior parte di queste morti sono state accidentali, una conclusione supportata dalle dichiarazioni degli ostaggi rilasciati, che hanno sottolineato di essere stati trattati in modo dignitoso e rispettoso dai sequestratori di Hamas. In effetti, il numero relativamente piccolo di uccisioni ingiustificate da parte dei militanti di Hamas ha costretto i propagandisti filo-israeliani a promuovere le più scandalose bufale di atrocità, che vanno dai quaranta bambini israeliani decapitati a quelli cotti nei forni, agli stupri di gruppo e alle mutilazioni sessuali di Hamas, nessuna delle quali sembra avere un minimo di fondamento.
 
Quindi, in rappresaglia per l’uccisione di circa 100-200 civili disarmati, il governo israeliano ha allegramente massacrato decine di migliaia di civili palestinesi indifesi e, a quanto pare, si propone di portare il numero dei morti a milioni.
 
Secondo Max Blumenthal, i sondaggi d'opinione mostrano che circa il 98% degli Israeliani sostiene queste misure di ritorsione eccezionalmente brutali o le considera addirittura insufficienti. Numerosi video su TikTok, Telegram e altre piattaforme mostrano Israeliani medi che si divertono alla vista dei civili palestinesi morti o affamati, mentre le truppe israeliane hanno manifestato altrettanto sadismo nella distruzione delle infrastrutture civili e nell’uccisione brutale di Palestinesi disarmati, comprese donne e bambini. Casi di pubblica tortura e omicidi a sangue freddo sembrano sempre più comuni. Alla luce di questi fatti, diversi video di Grayzone hanno ragionevolmente descritto Israele come una società estremamente malata.
 
 
 
 
 
 
Fëdor Dostoevskij della Russia zarista è considerato uno dei più grandi scrittori europei, autore dei romanzi classici Delitto e castigo, I fratelli Karamazov e molti altri. Ma sebbene quasi tutti i suoi scritti siano stati tradotti in inglese e siano facilmente disponibili, il suo Diario di uno scrittore è rimasto sconosciuto, e alcuni hanno ipotizzato che il motivo potrebbero essere le sue brevi osservazioni del 1877 sulla piccola minoranza ebraica russa. Pur riconoscendo la difficile situazione degli ebrei, che a volte venivano oppressi o maltrattati dalla stragrande maggioranza russa, lo scrittore sosteneva che essi esageravano enormemente la loro sofferenza e formulava anche ipotesi su come essi stessi avrebbero trattato i russi se le parti si fossero invertite e fossero stati loro ad essere in maggioranza.
 
Ma a volte ho pensato: come sarebbe se in Russia non ci fossero tre milioni di ebrei, ma tre milioni di russi e ottanta milioni di ebrei? Ebbene, in che cosa trasformerebbero i Russi e come li tratterebbero? Permetterebbero loro di acquisire pari diritti? Permetterebbero loro di praticare la loro religione in mezzo a loro? Non li renderebbero schiavi? Peggio ancora: non li scuoierebbero del tutto? Non li massacrerebbero fino all'ultimo uomo, fino allo sterminio completo, come facevano nell'antichità con i popoli stranieri, nella loro storia antica?
 
Dostoevskij morì nel 1881, ma le sue parole profetiche si avverarono nel 1917 quando i bolscevichi, la cui leadership era in maggioranza ebraica, presero il potere. Una volta instaurato il nuovo regime sovietico, nei due decenni successivi essi realizzarono un massacro senza precedenti dei loro sudditi Gentili sia con le armi che con la fame, una realtà quasi totalmente cancellata sia all’epoca che successivamente dai loro cugini etnici nella Hollywood a stragrande maggioranza ebraica, e dalla pressione politica ebraica sulla maggior parte degli altri media. Come ho scritto nel 2018
 
 
In effetti la questione del comunismo ne solleva una ancora più ampia, dalle implicazioni piuttosto delicate. Talvolta due semplici componenti sono inerti se presi separatamente, ma combinati tra loro possono acquistare una forza esplosiva enorme. Sulla base delle mie nozioni storiche, alcune cose mi sono sempre sembrate evidenti, anche se le conclusioni non potevano essere divulgate, e suppongo siano sembrate evidenti anche agli altri. Nel corso degli anni, ho cominciato a chiedermi se non avessi ragione.
 
Alla fine della Guerra Fredda, il numero di civili innocenti uccisi durante la rivoluzione bolscevica e nei primi due decenni del regime sovietico era calcolato in diverse decine di milioni, comprendendovi anche le vittime della guerra civile russa, delle carestie, dei Gulag e delle condanne a morte. Ho sentito dire che queste cifre sono state notevolmente ridimensionate, ridotte forse a una ventina di milioni, ma poco importa. Per quanto i nostalgici dell’URSS possano contestare questi numeri tanto elevati, essi fanno parte della storia tradizionale insegnata in Occidente.
 
Allo stesso tempo, tutti gli storici sanno perfettamente che i leader bolscevichi erano per lo più ebrei, tre dei cinque rivoluzionari scelti da Lenin come suoi successori possibili erano tali. Nonostante che solo il 4% della popolazione russa fosse ebrea, Vladimir Putin ha dichiarato qualche anno fa che gli ebrei costituivano forse l’ 80-85% del primo governo sovietico, una stima del tutto coerente con le affermazioni contemporanee di Winston Churchill, del corrispondente del Times of London, di Robert Wilton, e degli ufficiali della intelligence militare USA. I recenti libri di Alexandre Solgenitsin, Yuri Slezkin e altri hanno tutti dipinto un quadro assai simile. E prima della Seconda Guerra Mondiale gli ebrei erano superpresenti nella direzione comunista, specie nella amministrazione dei Gulag e nei ranghi superiori del temibile NKVD.
 
Questi due semplici fatti sono stati diffusamente accettati negli Stati Uniti nel corso della mia vita. Ma combinateli con il numero relativamente ridotto di ebrei nel mondo, circa 16 milioni prima della Seconda Guerra mondiale, e la conclusione ineluttabile è che, paragonati al loro numero complessivo, gli ebrei sono stati i più grandi assassini di massa del XX secolo, meritando questa terribile distinzione con un margine enorme e senza che nessun’altra nazionalità possa avvicinarsene, neppure da lontano. E però, attraverso uno sbalorditivo trucco di Hollywood, i peggiori assassini degli ultimi cento anni sono stati in qualche modo trasformati nelle più grandi vittime, una trasformazione tanto poco plausibile che le generazioni future ne resteranno certamente stupefatte.
 
 
Sebbene io abbia sempre generalmente accettato la ricostruzione accademica tradizionale dei primi decenni del regime bolscevico e dell’enorme numero delle sue vittime, talvolta mi capitava di restare perplesso. Mi chiedevo se fosse davvero possibile che quei leader bolscevichi ebrei avessero volontariamente massacrato o fatto morire di fame così tanti milioni, addirittura decine di milioni, di loro indifesi connazionali. Ma dopo aver visto gli sfortunati sviluppi attualmente in corso a Gaza, quelle piccole perplessità sono svanite.
 
Allo stesso modo, chiunque legga i racconti contemporanei provenienti dal Centro Europa sulla tumultuosa prima metà del ventesimo secolo si imbatte talvolta in dichiarazioni perplesse sul modo in cui taluni scrittori e intellettuali ebrei apparentemente mansueti e miti si fossero improvvisamente trasformati in demoni assetati di sangue una volta legittimati da una rivolta bolscevica o dal regime dominante. Mi sono sempre chiesto se quelle osservazioni, per lo più scritte in opere sbiadite e dimenticate da tempo, fossero davvero vere o si trattasse solo di esagerazioni propagandistiche antiebraiche. Ma ancora una volta gli eventi di Gaza sembrano aver completamente giustificato e confermato quelle diffuse affermazioni del passato.
 
Come ho sottolineato in un altro articolo del 2018, un comportamento ebraico così estremo può anche essere un fenomeno dipendente dalla concentrazione di grandi quantità di ebrei investiti da una terribile frenesia ideologica, situazione che li indurrebbe ad azioni estremamente sanguinose, che in circostanze diverse sarebbero meno disposti a commettere.
 
 
Inoltre, questa situazione è aggravata dalla tendenza comune degli ebrei a "raggrupparsi" insieme, rappresentando forse solo l'1% o il 2% della popolazione totale, ma spesso costituendo il 20% o il 40% o il 60% del gruppo professionale cui appartengono, specie in specifici settori. In tali condizioni, le idee o l'agitazione emotiva di alcuni ebrei probabilmente influenzano gli altri intorno a loro, provocando spesso ulteriori ondate di indignazione.
 
Per fare un'analogia approssimativa, una piccola quantità di uranio è relativamente inerte e innocua, e lo è del tutto se distribuita all'interno di minerali a bassa densità. Ma se una quantità significativa di uranio di qualità militare viene sufficientemente compressa, i neutroni rilasciati dagli atomi di fissione causeranno rapidamente la fissione di ulteriori atomi, e il risultato finale di questa reazione a catena è un'esplosione nucleare. Allo stesso modo, un ebreo anche molto agitato, da solo, non può avere alcun impatto negativo, ma se l’insieme di tali ebrei agitati diventa troppo numerosa e si raggruppa troppo da vicino, il rischio è che si trascinino l’un l’atro in una terribile frenesia, forse con conseguenze disastrose per se stessi e per gli altri. Ciò è particolarmente vero se questi ebrei agitati acquisiscono posizioni dominanti in certi snodi-chiave, come le organizzazioni politiche o i media.
 
Mentre la maggior parte delle organizzazioni viventi esiste esclusivamente nella realtà fisica, gli esseri umani occupano anche uno spazio ideativo, dove l'interazione della coscienza umana con la realtà percepita ha un’influenza determinante nel modellare il comportamento. Proprio come i feromoni rilasciati dai mammiferi o dagli insetti possono influenzare fortemente le reazioni dei loro familiari o compagni di nido, le idee emanate dagli individui o diffuse dei media possono avere un impatto enorme sui loro simili.
 
 
Uno stato puramente ebraico come Israele contiene la più alta densità di ebrei, quindi di conseguenza stiamo assistendo alla forma più estrema di tale comportamento.
 
 
Condizionare gli statunitensi con l’Olocausto nazista
 
La versione cinematografica di Arancia Meccanica uscì nel 1971 e quando la guardai su Youtube notai qualcosa di intrigante. Secondo la trama, Alex veniva psicologicamente condizionato contro la violenza costringendolo a guardare atti orribilmente violenti sullo schermo mentre lo si faceva sentire male con le droghe. Ma sebbene alcune delle immagini mostrate rientrassero in quella categoria – aerei che sganciavano bombe in tempo di guerra – molte altre mostravano semplicemente parate naziste e Adolf Hitler che passava in rassegna il suo vasto schieramento di sostenitori tedeschi nel corso di una manifestazione pubblica, scene che non contenevano alcuna violenza visibile. Quindi, a quanto pare, negli USA dei primi anni ’70, il semplice immaginario nazista era intrinsecamente considerato “violento”, riflettendo un precedente processo di condizionamento o più probabilmente con l’intento di produrre esattamente quel risultato nel pubblico.
 
Il regista era Stanley Kubrick, unanimemente acclamato come uno dei più grandi registi della storia, e che ha firmato una lunga lista di produzioni storiche come Spartacus, Il dottor Stranamore, 2001: Odissea nello spazio, Shining e Full Metal Jacket. Essendo stato per decenni uno dei maggiori talenti di Hollywood, Kubrick era certamente a conoscenza di molti fatti importanti che non sono mai arrivati sui nostri giornali mainstream o nei libri di storia, tanto più che egli era oltre a tutto anche un newyorkese ebreo.
 
Negli anni '90 Kubrick assunse Frederic Raphael, anche lui ebreo, per lavorare insieme alla sceneggiatura del suo ultimo film. Considerando le origini ebraiche di Kubrick, molti rimasero sorpresi quando Raphael riferì in seguito che il famoso regista gli aveva detto che Adolf Hitler aveva "ragione su quasi tutto", denigrando anche il film storico sull'Olocausto Schindler's List, prodotto e diretto dal suo buon amico Steven Spielberg, una rivelazione che sconvolse moltissimo quest'ultimo quando ne venne a conoscenza.
 
L'ultimo film di Kubrick del 1999 è stato Eyes Wide Shut con Tom Cruise e Nicole Kidman. Nonostante l'enorme statura del regista e due star estremamente bancabili, Kubrick aveva incontrato notevoli difficoltà per realizzarlo, un progetto che richiese molti anni di lavoro e che arrivò nelle sale solo dopo la morte improvvisa di Kubrick per infarto all'età prematura di 70 anni, pochi giorni dopo aver mostrato il film completato ai dirigenti dello studio. La trama era strana ed estremamente cospiratoria, raccontando la storia di due newyorkesi benestanti e di successo che vengono improvvisamente trascinati in un mondo nascosto e segreto, nel quale gli ultra-ricchi e potenti erano regolarmente coinvolti in orge sessuali rituali all’interno di enormi dimore private, con pericoli mortali per gli estranei che avessero rivelato questi fatti. Paradossalmente, alcune delle scene chiave furono girate nella sontuosa tenuta dei Rothschild britannici, essi stessi oggetto di molte di queste famigerate credenze cospiratorie.
 
Nonostante la presenza di star così importanti, i risultati al botteghino sono stati deludenti e il film è andato in perdita o, a malapena, in pareggio. Ma se Eyes Wide Shut fosse uscito invece quando è scoppiato lo scandalo Jeffrey Epstein o la controversia QAnon/Pizzagate in qualche modo correlata, sospetto sarebbe stato visto da un pubblico enorme. Negli ultimi due decenni, l’idea che il nostro mondo sia controllato da forze nascoste la cui esistenza viene occultata dai nostri principali media è diventata molto più diffusa. Il caso Epstein ha certamente sollevato forti sospetti sul fatto che molti degli individui ai vertici della nostra società fossero soggetti a ricatto sessuale per mano di organizzazioni segrete e nefaste.
 
 
La memoria a volte ci gioca brutti scherzi. Ho visto Arancia Meccanica l'ultima volta più di dieci anni fa e ricordavo vagamente che le terrificanti immagini che Alex era costretto a guardare erano quelle dei campi di sterminio nazisti. Quindi sono rimasto sorpreso nello scoprire che invece mostrano soltanto Hitler che passa in rassegna pacificamente la massa dei suoi sostenitori nazisti durante un’enorme manifestazione popolare. Ma sospetto che, se il film del 1971 fosse stato prodotto negli anni ’80 o successivamente, le immagini dell’Olocausto avrebbero dominato quelle scene, forse addirittura con esclusione di qualsiasi altra.
 
Nel corso delle ultime due generazioni, la misura in cui Hollywood e i media in generale hanno condizionato la popolazione del mondo occidentale con la storia e le immagini dell’Olocausto è assolutamente straordinaria. Come ho spiegato nel 2018:
 
 
Secondo Finkelstein, Hollywood ha prodotto circa 180 film sull’Olocausto solo nel periodo 1989-2004. Anche l’elenco molto parziale dei film sull'Olocausto pubblicato da Wikipedia è cresciuto enormemente, ma fortunatamente il Movie Database ha selezionato il catalogo fornendo un elenco dei 50 film sull'Olocausto più commoventi.

 

 

Solo un 2% di Statunitensi è di origine ebraica, mentre forse un 95% ha radici cristiane, ma la lista di film sui cristiani fornita da Wikipedia sembra piuttosto misera al confronto. Pochissimi di questi film hanno avuto ampia diffusione, e la selezione si estende fino a comprendere Il Mondo di Narnia, che non contiene alcuna menzione del cristianesimo. Una delle rare eccezioni su questa lista è La Passione di Cristo di Mel Gibson del 2004, che fu costretto a finanziarsi da solo. E, nonostante l’enorme successo finanziario del film, uno dei più importanti di tutti i tempi, esso ha fatto di Gibson un paria assai criticato in una industria sulla quale aveva prima regnato come una grande star, soprattutto dopo che è circolata la notizia che suo padre era un negazionista dell’Olocausto.
 
 
È importante riconoscere che il processo di condizionamento determina il comportamento anche di coloro che non ne sono direttamente influenzati. Sebbene l'imperatore Enrico IV non accettasse personalmente la supremazia del papa, la maggior parte dei suoi vassalli e sudditi la pensavano in modo contrario, quindi egli fu costretto a sottomettersi. Allo stesso modo, le opinioni personali di Elon Musk riguardo all’antisemitismo o all’Olocausto contano anche per lui meno del potere che tali nozioni sembrano esercitare su tanti dei suoi clienti, dipendenti e soci in affari.
 
The Economist è probabilmente la rivista cartacea più influente al mondo e la scorsa settimana la sua copertina era incentrata sulla necessità di "porre fine all'agonia del Medio Oriente". Eppure ha aperto con le parole “Nei mesi trascorsi da quando Hamas ha commesso la peggiore atrocità contro gli ebrei dall’Olocausto…” Il costante e travolgente condizionamento mediatico ha fatto sì che gli eventi europei di più di tre generazioni fa rimangano ancora centrali nel pensiero di gran parte del mondo occidentale.
 
 
Il Prof. Peter Novick e la storiografia dell'Olocausto
 
Recentemente ho pensato di ordinare alcuni libri su Amazon sull’Olocausto e ho notato che uno di questi, per nulla oscuro, era classificato da quel sito web come circa il 7.100esimo titolo più popolare in quel genere. Ciò dà un’idea del vasto numero di opere sull’Olocausto che sono state pubblicate in inglese, probabilmente per un totale di almeno dieci o ventimila e, forse costituiscono la maggior parte di tutti i libri pubblicati sugli eventi della Seconda Guerra Mondiale.
 
Ma tutto questo è cominciato in epoca recente. In numerosi articoli ho sottolineato che, da subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fino all’inizio degli anni ’60, i giornalisti e gli storici statunitensi, e a quanto pare anche del resto del mondo occidentale, non hanno quasi mai menzionato i colossali eventi dell’Olocausto – che oggi ci viene presentato come il più grande crimine mai commesso nella storia del mondo. In effetti, nessun individuo intelligente e riflessivo che avesse letto attentamente i nostri principali giornali, riviste e libri dal (diciamo) 1947 al 1959 avrebbe probabilmente mai sospettato che si fosse verificato un Olocausto, un fatto storico assolutamente straordinario.
 
Queste circostanze tanto sorprendenti le ho trovate per la prima volta menzionate anni fa nelle pagine di The Holocaust in American Life, un libro molto ben recensito, anche se controverso, pubblicato nel 1999 dal Prof. Peter Novick, uno storico che ha fondato il programma di studi ebraici presso l'Università di Chicago. Recentemente mi sono occupato ancora una volta di questo tema, e ho deciso di rileggere l'opera di Novick dopo cinque o sei anni, e sono stato ben ripagato del mio impegno, poiché ha pienamente confermato tutti i miei ricordi.
 
Alcune delle questioni che Novick solleva all'inizio sono notevoli. I tumulti tedeschi della Notte dei Cristalli del 1938, nel corso dei quali dozzine di ebrei furono uccisi, occuparono per più di un'intera settimana le prime pagine del New York Times, eppure il giornale statunitense di proprietà ebraica non diede nemmeno un briciolo di quella grande attenzione all'Olocausto quando iniziò qualche anno dopo, confinando le storie di centinaia di migliaia o milioni di ebrei uccisi in modo davvero mostruoso in brevi articoli nascosti nelle ultime pagine. Il movimento sionista in Medio Oriente ha fatto più o meno lo stesso, e il suo quotidiano di punta, il Palestine Post, ha trattato queste storie con uguale noncuranza, relegandole a un paio di colonne, spesso nelle pagine interne, totalmente oscurate da minori controversie politiche locali. Data questa evidente poca considerazione sionista per le storie di sterminio degli ebrei in tempo di guerra, non sorprende affatto che nel 1940 e 1941 una piccola fazione sionista di destra, guidata da un futuro primo ministro israeliano, abbia fatto ripetuti tentativi di unirsi all’alleanza militare dell’Asse di Hitler e Mussolini.
 
Novick osserva che, anche dopo la fine della guerra, quando gli Alleati dichiararono pubblicamente a Norimberga che i nazisti avevano brutalmente sterminato sei milioni di ebrei, i sondaggi condotti tra gli ebrei statunitensi rivelarono che circa la metà di loro considerava quelle cifre del tutto ridicole, forse esagerate di cinque o dieci volte. Il tenente colonnello Leonard Weinstein prestò servizio nello staff di Eisenhower e fu fortemente coinvolto nelle attività della comunità ebraica, ma quando fu informato che un milione o due milioni di ebrei erano stati uccisi ad Auschwitz, rimase assolutamente stupito e disse di non aver mai sentito parlare di una cosa simile. E Novick sottolinea che, mentre la consapevolezza ebraica dell’Olocausto non era affatto significativa, la consapevolezza dei Gentili era del tutto trascurabile. In effetti, le rappresentazioni popolari delle atrocità dell’Asse si concentravano quasi interamente su quelle commesse dai giapponesi, compresi incidenti come la famigerata “Marcia della morte di Bataan”, mentre relativamente poca attenzione veniva attribuita ai crimini di guerra tedeschi.
 
Secondo Novick, una ragione importante per cui i media mainstream, siano essi ebrei o gentili, trattarono le storie dell’Olocausto con così tremenda trascuratezza era che molti dei redattori più anziani ricordavano che durante la Prima Guerra Mondiale, vent’anni prima, erano stati totalmente ingannati da molte ridicole bufale sulle atrocità tedesche fabbricate dai propagandisti alleati, rendendoli molto riluttanti a ricadere nello stesso umiliante errore. E si dà il caso che molte delle più diffuse storie dell’Olocausto erano dello stesso tipo. Ad esempio, Novick riferisce che “il più importante rapporto sull’Olocausto che raggiunse l’Occidente” in quegli anni fu fornito dal World Jewish Congress, il cui informatore affermò di avere “conoscenza personale” che i cadaveri ebrei venivano trasformati in sapone, affermazione che è stata poi respinta come pura finzione.
 
Sebbene alla fine del 1944 tre quarti del pubblico statunitense fosse convinto che i tedeschi “assassinarono molte persone nei campi di concentramento”, la stima più comune di quel totale era di 100.000 o meno.
 
La vasta erudizione di Novick costituiva un’affidabile base per la comprensione di quei fatti. La realtà dell’Olocausto fu ampiamente ignorata o trascurata durante la Seconda Guerra Mondiale, proprio mentre stava realmente accadendo. L'Olocausto ricevette poi una grande esplosione di attenzione pubblica e copertura mediatica intorno al periodo dei Tribunali di Norimberga del 1946, quando gli Alleati processarono, condannarono e giustiziarono molti dei leader nazisti sconfitti, e lo sterminio degli ebrei fu una delle accuse principali contro di loro. Ma subito dopo, l’Olocausto scomparve ancora una volta quasi totalmente dalla copertura mediatica occidentale e dall’attenzione pubblica fino all’inizio degli anni ’60.
 
Come afferma con forza Novick all’inizio di uno dei suoi capitoli del dopoguerra:
 
Tra la fine della guerra e gli anni Sessanta, come può testimoniare chiunque abbia vissuto in quegli anni, l’Olocausto non ha fatto quasi alcuna apparizione nel discorso pubblico statunitense, e poco di più in quello ebraico, soprattutto in quello rivolto ai gentili.
 
Sebbene durante questo periodo le pubblicazioni ebraiche facessero ancora occasionalmente riferimento all'Olocausto, generalmente lo facevano in un modo piuttosto strano. Ad esempio, nel 1952 Stalin giustiziò la leadership del Partito Comunista Cecoslovacco, a stragrande maggioranza ebraica, nel corso di una delle sue periodiche epurazioni, spingendo Commentary e il New Leader a paragonare la morte di quel pugno di appartchik ebrei all'Olocausto di Hitler: spazzare via gli ebrei dell’Europa centrale e orientale… Il parallelo con la politica di sterminio nazista è quasi completo”. Pare proprio che la differenza tra meno di una dozzina di vittime ebree e sei milioni di morti non fosse considerata significativa. In effetti, come conseguenza di quegli eventi, l’ADL e altre importanti organizzazioni ebraiche dichiararono pubblicamente che comunismo e nazismo erano “sostanzialmente identici” nelle loro politiche nei confronti degli ebrei. Le organizzazioni e le pubblicazioni che assumono un atteggiamento così indifferente nei confronti della realtà dei fatti difficilmente ispirano grande fiducia anche verso le loro altre affermazioni, siano esse passate o future.
 
Forse la trattazione ebraica più importante e influente dell’argomento in questo periodo si ebbe con The Origins of Totalitarianism (Le origini del totalitarismo), il classico lavoro di filosofia politica del 1951 pubblicato da Hannah Arendt, una studiosa ebrea tedesca emigrata che era giunta negli USA nel 1941 e aveva trascorso il successivo decennio molto bene inserita nei circoli ebraici e sionisti. Data la notevole lunghezza e profondità del libro, c’è da pensare che avesse cominciato a lavorarci durante i lavori del Tribunale di Norimberga o nel periodo immediatamente successivo, e dedicò diverse pagine all'Olocausto, attingendo ai fatti documentati durante quegli storici processi per crimini di guerra. Tuttavia, la sua esperienza personale e il suo focus erano rivolti alla filosofia e all'ideologia piuttosto che alla storia, quindi sottolineò principalmente che il fanatico progetto nazista di sterminare tutti gli ebrei d'Europa minò gravemente lo sforzo bellico tedesco, dimostrando così la totale "follia" di Hitler e del suo regime.
 
In una lunga nota a piè di pagina, ha anche sfatato alcuni dei malintesi popolari su tale questione, sottolineando che le avvincenti immagini di affamati, corpi emaciati e sopravvissuti che avevano così inorridito il pubblico statunitense alla fine della guerra erano totalmente irrealistiche e non avevano nulla a che fare con l'Olocausto poiché i tedeschi non avevano usato la fame come metodo di uccisione. Invece, ha suggerito che quelle scene fossero una conseguenza del totale collasso dell’organizzazione tedesca negli ultimi giorni di guerra a causa della campagna di bombardamenti strategici degli USA, un’affermazione che anche molti altri hanno fatto più di recente.
 
 
 
Rileggere il libro di Novick mi ha riportato alla mente un punto importante che avevo dimenticato. L'importante volume di Raoul Hilberg del 1961, The Destruction of the European Jews (La distruzione degli ebrei europei), è universalmente riconosciuto come quello che ha dato impulso allo studio accademico dell'Olocausto. Ma Novick suggerisce che il notevole successo del libro di Hilberg, che finì col fondare un'intera disciplina accademica, fu probabilmente dovuto al suo tempismo fortuito.
 
Negli anni 1930, il movimento sionista strinse un'importante partnership economica con la Germania nazista, che pose le basi per la futura creazione dello Stato di Israele. L'ufficiale di collegamento nazista con i sionisti era Adolf Eichmann, che studiò l'ebraico e veniva considerato una sorta di filosemita. Dopo la clamorosa vittoria degli Alleati nella guerra, quei pericolosi segreti della storia sionista furono tenuti ben nascosti ma, nella metà degli anni Cinquanta minacciarono improvvisamente di trapelare nuovamente nei media, forse con gravi ripercussioni politiche sull’alleanza di Israele con gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali. Forse per questo, il governo israeliano cominciò ad impegnarsi per rintracciare ed eliminare il suo ex stretto collaboratore nazista. Dopo il rapimento di Eichmann nel 1960, gli Israeliani organizzarono un processo farsa molto mediatizzato, incentrato sugli orrori dell'Olocausto e culminato con l'esecuzione di Eichmann nel 1962. Novick sostiene plausibilmente che il libro di Hilberg deve gran parte del suo successo al fatto di essere stato pubblicato nel bel mezzo di quello sfarzo mediatico.
 
Pertanto, la coincidenza tra la celebrazione del processo Eichmann e della pubblicazione del libro di Hilberg fece sì che, nei primi anni 1960, l'Olocausto cominciasse per la prima volta a ricevere una certa attenzione da parte dei media mainstream e divenne gradualmente anche un argomento di serio studio accademico. Molti di questi ricercatori ebbero incarichi nei programmi di studi ebraici appena istituiti che proliferarono nelle università statunitensi, come parte del più ampio movimento di studi etnici della fine degli anni ’60. Ma questa copertura mediatica non fu certamente enorme, e potrebbe non essersi molto radicata nelle coscienze, salvo che nella comunità ebraica o tra gli attivisti ebrei.
 
Secondo Novick, l’elemento cruciale fu il coinvolgimento di Hollywood, a partire dal 1978 con la miniserie televisiva Holocaust con James Woods e Meryl Streep, che per la prima volta stabilì saldamente quella narrazione nella coscienza popolare occidentale. Guardata da quasi 100 milioni di statunitensi, è stata generalmente considerata come lo strumento che ha fornito, in quattro serate, maggiori informazioni ad un numero più elevato di statunitensi, rispetto all’intera copertura mediatica dei precedenti trent'anni. A volte ho ipotizzato che quella trasmissione televisiva potrebbe essere stata, per la maggior parte degli statunitensi, la prima volta che ha sentito parlare di quell’enorme crimine di guerra. Novick nota che la grande campagna di marketing della NBC è stata surclassata dall’impegno ben maggiore delle varie organizzazioni ebraiche, e ciò vuol dire, inevitabilmente, che lo sforzo combinato di Hollywood e degli attivisti ebrei ha effettivamente creato l'Olocausto.
 
Con Hollywood che domina l’intrattenimento globale, l’effetto si è fatto sentire anche ben oltre i nostri confini, in particolare in Germania. Come dice Novick, trent’anni di silenzio tedesco sui crimini di guerra nazisti furono improvvisamente ribaltati da una sontuosa produzione hollywoodiana, basata sull’importante principio che occorre vedere per credere.
 
 
Altre prospettive sulla storiografia dell'Olocausto
 
L'importante analisi storiografica di Novick è stata entusiasticamente elogiata da molti eminenti studiosi ebrei, ma altri ricercatori l'hanno fortemente contestata, così recentemente ho voluto leggere una delle sue più importanti critiche, per conoscere l'altro lato della storia. After the Holocaust si presenta come una raccolta di saggi del 2012 piuttosto breve, curata da David Cesarani ed Eric J. Sundquist, recante il sottotitolo descrittivo “Sfidare il mito del silenzio”.
 
Non ne sono rimasto molto colpito e mi è parso che il libro rafforzasse piuttosto la tesi di Novick. Tra i contributori c'è più di una dozzina di storici che hanno attentamente analizzato i media e la letteratura, alla ricerca di prove che confutassero la tesi di Novick, ma non sembra abbiano concluso granché. Hanno rinvenuto qualche aspra denuncia di antisemitismo, sia nella Germania di Hitler che negli Stati Uniti di Truman ma, fatta eccezione per un breve picco proprio in concomitanza coi processi di Norimberga, non hanno trovato quasi nessuna indicazione nei media che un qualsiasi Olocausto fosse mai avvenuto. C'erano occasionali riferimenti fugaci ai nazisti che avevano ucciso gli ebrei, ma sempre il bilancio delle vittime implicito avrebbe potuto essere indifferentemente di seicento o sei milioni, e in effetti durante l’aspra tensione del dopoguerra in Palestina, alcuni dei sionisti arrabbiati e i loro alleati polemisti statunitensi hanno a volte denunciato gli inglesi di atti di crudeltà paragonabili a quelli dei nazisti tedeschi.
 
L’unica grande eccezione a questo clima di silenzio quasi totale è stata trovata nel neonato Stato di Israele, che per tutto questo periodo presentava una letteratura sull’Olocausto molto diffusa e popolare. Ma la maggior parte di questo materiale consisteva in resoconti bizzarri di perversioni sessuali sadomaschistiche nei campi di sterminio nazisti, e nel corso degli anni questi sono stati gradualmente riconosciuti come mera finzione pornografica.
 
Nel frattempo, altri accademici con posizioni ideologiche molto diverse sembra siano giunti a conclusioni molto simili a quelle di Novick. La lunga recensione di Norman Finkelstein del lavoro di Novick apparve presto sulla London Review of Books e alla fine decise di approfondire l'analisi di quest'ultimo autore e di pubblicare The Holocaust Industry (L’industria dell’Olocausto) nel 2000, divenuto un bestseller internazionale. Sebbene i due studiosi divergessero nelle priorità e le loro nette divergenze ideologiche provocassero alcune polemiche ostili – Novick era un sionista liberal tradizionale e Finkelstein un fervente antisionista – penso che le loro analisi siano abbastanza complementari.
 
L'area di competenza storica di Finkelstein è il Medio Oriente e la sua breve incursione sul tema dell'Olocausto è stata probabilmente ispirata da quello che considerava il suo impatto politico molto pernicioso sul conflitto Israele/Palestina. Ma più o meno nello stesso periodo in cui ho letto il libro di Novick, ho letto anche quelli delle esperte di Olocausto Deborah Lipstadt e Lucy Dawidowicz, e ho scoperto che confermavano e amplificavano pienamente le conclusioni di Novick, sebbene presentassero le loro scoperte in un tono e in un modo molto diversi.
 
Il libro Beyond Belief di Lipstadt del 1986 dimostra, a onta delle forti proteste degli attivisti ebrei più agitati, che nel corso degli anni della guerra né i principali media statunitensi né il pubblico statunitense sembravano credere che un qualche Olocausto stesse effettivamente accadendo. Rileva inoltre che fino al 1944:
 
 
In un articolo sul Sunday New York Times Magazine, [Arthur] Koestler ha citato sondaggi d'opinione effettuati negli Stati Uniti che hanno rivelato come nove statunitensi medi su dieci abbiano bollato le accuse contro i nazisti come bugie propagandistiche e abbiano affermato categoricamente di non credere a una sola parola di esse.
 
 
Qualche anno prima, nel 1981, la Harvard University Press aveva pubblicato The Holocaust and the Historians di Dawidowicz, nel quale l’autore criticava quasi tutti gli storici mainstream del dopoguerra per aver ignorato quasi totalmente l’Olocausto, scrivendo le loro storie come se non fosse mai accaduto.
 
La sua dura condanna si diresse anche contro il britannico Alan Bullock, che pure sembra essere stato l'unico storico mainstream ad aver menzionato l'Olocausto in quell’epoca. Nel 1952, ancora trentenne, pubblicò Hitler: A Study in Tyranny, la prima biografia completa del dittatore tedesco, tutt'altro che lusinghiera come indica il titolo, che rimase come un’opera fondamentale anche nei decenni successivi, influenzando notevolmente gli studiosi posteriori. Eppure, sebbene l’Olocausto  avrebbe dovuto essere responsabile di circa il 10% di tutte le morti in tempo di guerra e il suo libro fosse lungo quasi 800 pagine, a quanto pare egli dedicò solo tre frasi a quell’argomento, limitandosi a citare le affermazioni dell’accusa al Tribunale di Norimberga, le cui trascrizioni erano state una fonte primaria cui aveva attinto per tutto il lavoro. Al momento della sua edizione rivista del 1962, quelle tre frasi sono diventate diversi paragrafi nelle 850 pagine, comprendendo anche citazioni del più recente processo farsa contro Eichmann in Israele, nonché il libro pubblicato da uno storico dell'arte ebreo.
 
Sia Lipstadt che Dawidowicz si presentarono come sionisti dal taglio deciso, che probabilmente disprezzavano Novick per le sue opinioni molto più moderate, per non parlare dello stridente antisionismo di Finkelstein, quindi questi studiosi formularono le loro conclusioni in un modo molto diverso, ma fornirono tutti essenzialmente la stessa visione della realtà storica sottostante.
 
Per chi volesse approfondire l’argomento in un comodo formato online, consiglio vivamente un documento di ricerca universitario del 2004 prodotto per un corso di studi sull'Olocausto tenuto dal Prof. Harold Marcuse alla UCSB. Evidentemente Marcuse considerò il lavoro sufficientemente buono da decidere di metterlo online sul suo sito web:
 
 
Carlos Magaña • Storia dell'UCSB 133P • Giugno 2004 • 7.700 Parole
 
 
Un altro libro che ho letto era molto più mirato e analizzava attentamente la copertura dell'Olocausto in tempo di guerra - o meglio la sua mancanza – fornita dal New York Times, di proprietà ebraica, il giornale USA più influente. Buried by the Times è stato pubblicato nel 2005 da Laurel Leff, che era stato per 18 anni reporter del Wall Street Journal e di altri organi di stampa mainstream, prima di diventare professore di giornalismo alla Northeastern University, e il suo studio esaustivo e accademico è stato pubblicato da Cambridge University Press. Come si capisce dal titolo, si tratta di una severa critica al quotidiano nazionale statunitense per aver totalmente misconosciuto e minimizzato le notizie che giungevano in tempo di guerra su una massiccia campagna in corso di sterminio degli ebrei, mentre molti dei principali redattori parevano liquidarle come ridicole invenzioni. Il libro contiene un’analisi molto dettagliata del funzionamento interno del Times e le sue conclusioni generali sembrano sostanzialmente coerenti con quelle degli altri autori.
 
Infine, come ulteriore esempio di questo strano modello di silenzio, dovrei menzionare il fatto curioso che le memorie e le storie del dopoguerra del 1948-1959 dei tre grandi leader alleati, Churchill, Eisenhower e De Gaulle ammontano a più di 7.000 pagine, ma non contengono alcuna menzione dell'Olocausto o di uno qualsiasi dei suoi elementi principali. Lo stesso vale anche per i voluminosi diari pubblicati postumi del generale George Patton e di James Forrestal, il nostro primo Segretario alla Difesa.
 
 
Una rivoluzione copernicana sull’Olocausto?
 
Come ho ripetutamente sottolineato, l’unica breve eccezione al modello diffuso di minimizzare o ignorare l’Olocausto sia durante che dopo la Seconda Guerra Mondiale si è avuta nell’immediato dopoguerra, in particolare in concomitanza coi processi di Norimberga del 1946 in cui furono processati e giustiziati i massimi capi nazisti. Ma negli anni Cinquanta, sempre più eminenti statunitensi sono giunti a considerare quei procedimenti legali molto mediatizzati come qualcosa di assai vergognoso, processi farsa i cui verdetti preordinati si basavano su confessioni estorte con tortura, documenti falsificati e testimonianze false.
 
Questa fu certamente la posizione assunta dal Prof. John Beaty, che aveva ricoperto una posizione cruciale nei nostri servizi segreti militari in tempo di guerra e che, nel 1951, pubblicò The Iron Curtain Over America, che divenne un enorme bestseller tra i conservatori:
 
 
Denunciava anche il processo di Norimberga, che bollava come una «pesante macchia indelebile» per gli USA e una «parodia di giustizia». Secondo lui era stato gestito da ebrei tedeschi vendicativi, molti dei quali avevano falsificato le testimonianze. Di conseguenza, questo «fetido fiasco» aveva solo insegnato ai Tedeschi che «il nostro governo non possedeva alcun senso della giustizia». Il senatore Robert Taft, leader repubblicano dell’immediato dopo-guerra, aveva una posizione assai simile, cosa che gli valse poi l’elogio di John F. Kennedy in Profiles in Courage. Il fatto che il procuratore capo sovietico di Norimberga avesse svolto lo stesso ruolo nei famosi processi staliniani della fine degli anni 1930, durante i quali molti ex bolscevichi avevano confessato un mucchio di cose assurde e ridicole, non ha per nulla rafforzato la credibilità di quel processo agli occhi di molti osservatori.
 
Nelle sue memorie del 1981, il Prof. Revilo Oliver, un'altra importante figura dell'intelligence militare in tempo di guerra, aveva preso la stessa posizione, e dieci anni di ricerche d'archivio del Prof. Joseph Bendersky hanno indicato che questa era anche l'opinione di molti o della maggior parte dei nostri generali di spicco. e ufficiali dell'intelligence militare.
 
Nel 1962 lo storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn pubblicò il suo influente studio The Structure of Scientific Revolutions. In particolare, ha introdotto la nozione di “cambio di paradigma” in cui il graduale accumulo di fatti anomali o inspiegabili alla fine fa sì che un quadro di comprensione stabilito venga improvvisamente ribaltato e sostituito da uno radicalmente diverso, un processo esemplificato dalla Rivoluzione Copernicana.
 
Penso che qualsiasi lettore attento che legga attentamente le opere dei principali studiosi dell’Olocausto come Novick, Lipstadt, Dawidowicz e Bendersky, integrati da un po’ di materiale aggiuntivo, sarebbe sicuramente pronto a subire una tale trasformazione intellettuale su quell’argomento, anche se magari non sarebbe disposto a riconoscerlo.
 
Si consideri che quasi nessuno dei nostri giornalisti o storici tradizionali ha riconosciuto la realtà dell’Olocausto durante o dopo la seconda guerra mondiale, mentre i tribunali di Norimberga del 1946 che invece stabilirono che fosse avvenuto sono stati assolutamente fraudolenti. Sarebbe dunque assai arrogante ritenere che tutti quegli osservatori contemporanei molto informati avessero torto e che si debba invece fare affidamento su autori che hanno pubblicato molti anni, a volte molti decenni dopo quegli eventi.
 
Dobbiamo invece considerare la possibilità molto reale che l’Olocausto sia semplicemente una bufala, un residuo semidimenticato della disonesta propaganda bellica che venne, decenni dopo, resuscitato da ricercatori ingenui o prevenuti, indi trasformato in una gigantesca icona culturale da ignoranti produttori e sceneggiatori di Hollywood. In effetti, nel suo popolarissimo libro del 1951, il Prof. Beaty aveva casualmente ridicolizzato la storia dell'Olocausto esattamente in questi termini, e sebbene fosse stato attaccato ferocemente dall'ADL e da altri gruppi su tutta una serie di altre questioni, nessuno di loro ha mai messo in discussione la sua esplicita "Negazione dell’Olocausto”.
 
A suo notevole merito, va riconosciuto che Novick, verso la fine del suo eccellente libro, ha riconosciuto l’esistenza dei “negazionisti dell’Olocausto”, e tuttavia ha trattato l’argomento in modo sprezzante e molto superficiale, dedicandogli solo un paio di pagine del suo lungo libro. Li ha infangati con nonchalance definendoli “stravaganti, eccentrici e disadattati”, “svitati”, “fuori di testa” e “pazzi”, senza dare alcuna indicazione di essersi mai preso la briga di leggere e tanto meno di considerare seriamente il materiale che il loro movimento aveva prodotto. In tutta onestà, un certo numero di persone da lui nominate rientrava esattamente in quella categoria poco raccomandabile, il che non sorprende poiché i movimenti ideologici marginali e fortemente anatematizzati tendono naturalmente ad attrarre un numero considerevolmente maggiore della media di individui pazzi o antisociali. Ma la validità di qualsiasi dottrina dovrebbe ovviamente essere giudicata in base al lavoro dei suoi sostenitori più credibili piuttosto che a quello di quelli meno affidabili.
 
Affrontando questo problema, Novick ha menzionato brevemente il libro di Lipstadt del 1993 Denying the Holocaust (Negare l'Olocausto), che era interamente dedicato a quell'argomento. Ho trovato quest'ultima autrice quasi esilarante nella sua ottusa e autodistruttiva cecità ideologica. Come ho scritto nel mio articolo del 2018:
 
 
La lettura del libro fu certamente per me una formidabile rivelazione. Lipstadt è professore di studi sull’Olocausto con una nomina al Dipartimento di teologia dell’Università Emory e, dopo aver letto il paragrafo di apertura del suo primo capitolo, decisi che la sua specialità accademica avrebbe potuto sicuramente essere definita come una «Teologia dell’Olocausto».
 
L’orrore assoluto di Lipstadt all’idea che qualcuno possa contestare i principi della sua dottrina accademica non può essere più evidente. Uno zelante teologo dell’età delle tenebre europee non avrebbe reagito in modo diverso.
 
Il secondo capitolo del suo libro mi confermò in questa impressione. Siccome molte delle persone che criticava come negazioniste dell’Olocausto sostenevano anche la prospettiva revisionista circa le cause che hanno portato alla Prima e alla Seconda Guerra mondiale, ella attaccava con durezza queste scuole, ma in modo piuttosto strano. Negli ultimi anni, il blogger Steve Sailer e altri hanno messo in ridicolo quel che definiscono uno stile di dibattito «punta e sputa», che consiste nel descrivere succintamente una narrazione «politicamente scorretta» e poi trattarla automaticamente come se fosse evidentemente falsa senza necessità di spiegarne le ragioni. Questo sembra essere l’approccio che Lipstadt ha adottato in tutto il suo libro, d’altronde piuttosto breve.
 
Per esempio c’è una lunghissima lista di noti professori universitari, di personalità politiche e di giornalisti influenti che avevano sostenuto le posizioni revisioniste, e si evidenzia come i loro punti di vista non vadano d’accordo con la prospettiva più tradizionale, che l’autrice aveva probabilmente tratto dai suoi libri di testo scolastici, ritenendoli quindi come completamente inattendibili. Sicuramente un predicatore cristiano che tentasse di confutare le teorie evoluzioniste del laureato di Harvard E.O. Wilson citando il passaggio di un versetto biblico, adotterebbe la medesima tattica. Ma ben pochi attivisti evangelici sarebbero così stupidi da fornire una lunghissima lista di eminenti scienziati che hanno tutti la medesima posizione darwinista, tentando poi di contraddirli citando un unico versetto della Genesi. Lipstadt sembra avere un approccio con lo storia un po’ simile a quello di un attivista evangelico, ma di quelli un po’ tonti. Inoltre molti autori da lei criticati mi erano già familiari dopo un decennio di lavoro di archiviazione di contenuti, ed avevo trovato i loro molti libri abbastanza colti e convincenti.
 
 
Quest’ultimo passaggio proviene dal mio lunghissimo articolo del 2018 su quell’argomento, e il mese scorso ho rivisitato lo stesso argomento in un nuovo articolo.
 
 
Ron Unz • www.ossin.org • 29 gennaio 2018
 
Ron Unz • www.ossin.org • 27 gennaio 2018
 
Ron Unz • www.ossin,org • 28 gennaio 2024 
 
 
Il nostro mondo capovolto
 
Relegare ufficialmente l’Olocausto alla categoria delle frodi storiche screditate sarebbe un atto di grande importanza, qualcosa da non intraprendere alla leggera e con implicazioni di vasta portata.
 
Tra le conseguenze minori ci sarebbe che dieci o ventimila libri pubblicati in inglese nell’ultimo mezzo secolo diventerebbero improvvisamente obsoleti e i loro autori si rivelerebbero degli sciocchi ingenui. Anche una vasta moltitudine di altri libri e articoli subirebbero gravi danni, e i futuri lettori non potrebbero non ridacchiare imbattendosi in certi paragrafi o capitoli, mentre i nostri libri scolastici sarebbero necessariamente costretti a promuovere in senso inverso un identico processo di revisione di quell’argomento che avevano già effettuato dagli anni '60 in poi. Ma tutti gli astronomi tolemaici che avevano dedicato la loro vita al calcolo di epicicli sempre più complessi per spiegare i moti dei corpi celesti furono similmente spazzati via dalla Rivoluzione Copernicana, e le conseguenze politiche della ammissione che l’Olocausto è semplicemente una bufala sarebbero assai più drammatiche, anche per quanto riguarda la nostra attuale politica in Medio Oriente.
 
In effetti, se si consideri la misura in cui la maggior parte dei popoli occidentali ha subito mezzo secolo di intenso condizionamento all’Olocausto da parte delle nostre industrie dei media e dell’intrattenimento, forse il crollo del comunismo sovietico costituirebbe una più appropriata analogia storica. Ma anche quell’evento sconvolgente potrebbe non essere sufficiente dal momento che, sotto molti aspetti, l’Olocausto è stato trasmutato in una fede quasi religiosa – “Olocaustianità” – che funge da credo regnante di gran parte del nostro Occidente profondamente secolare, con i suoi venerati martiri, testi sacri e luoghi santi, di cui Auschwitz è il principale luogo di pellegrinaggio. Il crollo di una dottrina religiosa consolidata e potente è irto di enormi difficoltà.
 
Alcune figure ora molto celebrate sprofonderebbero nell'ignominia, mentre altre ora oscure o insultate verrebbero rivalutate e collocate al posto delle prime. Nel mio articolo del 2018 avevo brevemente delineato alcuni di questi ultimi individui:
 
 
Un professore di ingegneria di Northwestern, Arthur R. Butz, partecipava ad un’iniziativa libertarien in quel periodo quando ebbe modo di leggere un pamphlet che denunciava l’Olocausto come una bufala. Non aveva mai riflettuto sulla questione, ma venne colpito da un’affermazione così scioccante, e cominciò ad approfondire l’argomento all’inizio del 1972. Giunse subito alla conclusione che si trattava di un’affermazione probabilmente corretta, e trovò delle prove, ivi comprese quelle citate nel libro incompiuto e anonimo di Hoggan, tanto sommario che decise dovesse essere arricchito e reso più completo. Ha cominciato a lavorarci negli anni seguenti, con la diligenza metodica di un ingegnere di formazione accademica.
 
La sua opera più importante, The Hoax of the Twentieth Century, è stata pubblicata per la prima volta nel 1976 ed è subito diventato il testo centrale della comunità negazionista dell’Olocausto, una posizione che sembra conservare ancora oggi, nonostante che, con tutti gli aggiornamenti e gli allegati, superi oramai le 200 000 parole. Nonostante non si faccia menzione di questo libro ancora inedito nel numero di febbraio 1976 di Reason, è possibile che già se ne parlasse nei circoli libertarien e che questo abbia riacceso l’interesse per il revisionismo storico.
 
Butz era un professore di ruolo e rispettabile della Northwestern, e la pubblicazione del suo libro sull’Olocausto è immediatamente diventato un piccolo avvenimento coperto dal New York Times e da altri media, a gennaio 1977. Lipstadt in uno dei suoi libri gli dedica un intero capitolo dal titolo «Entering the Mainstream». Stando a un articolo del dicembre 1980 scritto da Dawidowicz, alcuni donatori e militanti ebrei si sono subito mobilitati per far pagare a Butz le sue opinioni eretiche, ma all’epoca il rigore universitario era rigido e Butz è sopravvissuto, un esito che sembra avere grandemente irritato Dawidowicz.
 
 
 
Un altro ospite regolare del IHR era Robert Faurisson. In qualità di professore di letteratura all’Università di Lyon 2, ha cominciato a esprimere pubblicamente il suo scetticismo a proposito dell’Olocausto nel corso degli anni 1970, e il tumulto mediatico che ne è seguito si è combinato a diversi tentativi di rimuoverlo dalla sua cattedra, mentre una petizione in suo favore è stata firmata da 200 professori universitari internazionali, tra cui il celebre professore Noam Chomsky del MIT. Faurisson si è arroccato sulle sue posizioni, ma gli attacchi sono proseguiti, ivi compreso un brutale pestaggio da parte di militanti ebrei che lo mandò in ospedale, mentre un candidato politico francese che condivideva le sue opinioni venne assassinato. Nel 1990, poco dopo la caduta del muro di Berlino e quando le ricerche ad Auschwitz e negli altri siti dell’Olocausto erano diventati molto più agevoli, la Francia adottò una legge che criminalizzava la negazione dell’Olocausto, la prima nazione a farlo dopo la disfatta della Germania. Negli anni successivi, molti altri paesi occidentali ne hanno seguito l’esempio, creando un precedente preoccupante di risoluzione dei conflitti scientifici attraverso processi e prigioni, una forma appena più dolce della politica praticata dalla Russia stalinista.
 
 
 
Approfondendo la storia della negazione dell’Olocausto, ho notato uno stesso tipo di tendenza ricorrente, più spesso da parte di individui che di istituzioni. Qualcuno molto rispettato decide di approfondire questo argomento controverso e arriva ben presto a conclusioni molto diverse dalla verità ufficiale. In vario modo le sue nuove opinioni diventano di dominio pubblico, e lui viene immediatamente demonizzato dai media dominati dagli ebrei come un orribile estremista, forse anche malato di mente, e comincia ad essere perseguitato da una banda di militanti ebrei fanatici. Tutto questo comporta generalmente la distruzione della sua carriera.
 
 
Fred Leuchter era unanimemente considerato uno dei maggiori specialisti statunitensi di tecnologia delle esecuzioni, e un lungo articolo di The Atlantic lo aveva presentato come tale. Nel corso degli anni 1980, Ernst Zundel, un eminente negazionista canadese dell’Olocausto, venne processato per avere espresso dubbi sulle camere a gas di Auschwitz, e uno dei suoi testimoni esperti era un guardiano di prigione statunitense che aveva una certa esperienza di simili sistemi, che raccomandò di coinvolgere Leuchter, una delle figure di punta in quel campo. Leuchter si recò in Polonia e ispezionò le pretese camere a gas di Auschwitz, poi pubblicò il rapporto Leuchter, concludendo che si trattava di una frode evidente e che era impossibile che quelle avessero potuto funzionare nel modo in cui pretendevano gli specialisti dell’Olocausto. Gli attacchi feroci che seguirono gli sono costati la sua carriera professionale e hanno distrutto il suo matrimonio.
 
David Irving era considerato lo storico della Seconda Guerra mondiale più di successo, i suoi libri si vendevano a milioni perché incensati dai maggiori giornali britannici, quando ha accettato di comparire come testimone al processo Zundel. Egli aveva sempre, in precedenza, accettato la narrazione convenzionale dell’Olocausto, ma la lettura del rapporto Leuchter gli fece cambiare opinione e concludere che le camere a gas di Auschwitz erano solo un mito. Venne immediatamente fatto oggetto di attacchi mediatici incessanti tali da danneggiare gravemente, poi distruggere la sua carriera di editore, e più tardi ha scontato anche una pena nelle prigioni austriache a causa delle sue inaccettabili opinioni.
 
Germar Rudolf era un giovane chimico tedesco che lavorava con successo nel prestigioso istituto Max Planck quando sentì parlare della controversia relativa al rapporto Leuchter, che trovò convincente ma con qualche punto debole. Allora ripetè le analisi in modo più approfondito, e pubblicò i risultati col titolo The Chemistry of Auschwitz, che confermavano quelli di Leuchter. E, proprio come Leuchter prima di lui, anche Rudolf si vide distrutti carriera e matrimonio e, giacché la Germania tratta queste questioni in modo più severo, ha finito con lo scontare anche cinque anni di prigione per la sua imprudenza scientifica.
 
Più recentemente, nel 2008, il dottor Nicholas Kollerstrom, per undici anni storico delle scienze all’University College di Londra, ha subito analoga sorte. Il suo interesse scientifico per l’Olocausto ha provocato una tempesta mediatica diffamatoria, è stato licenziato col preavviso di un giorno, diventando il primo membro di quella istituzione ad essere espulso per motivi ideologici. Aveva in precedenza scritto il paragrafo su Isaac Newton per una enciclopedia biografica sugli astronomi, e la rivista scientifica più prestigiosa degli Stati Uniti ha preteso che l’intera enciclopedia venisse ritirata dalle vendite, distruggendo l’opera di più di 100 scrittori, perché era irrimediabilmente infangata dalla presenza di un collaboratore tanto vergognoso. Ha raccontato questa terribile storia personale nella introduzione del suo libro Breaking the Spell, del 2014, che raccomando vivamente.
 
 
 
La vita e la carriera di molte altre persone è stata rovinata allo stesso modo e, in molte parti d’Europa, vi sono state anche inchieste penali e condanne al carcere. In particolare, un avvocato tedesco che si era mostrato un po’ troppo audace nella sua argomentazione giuridica ha raggiunto presto il suo cliente dietro le sbarre, cosicché è diventato sempre più difficile per gli accusati di negazionismo dell’Olocausto avere una difesa giuridica efficace. Secondo Kollerstrom, diverse migliaia di persone sono attualmente in prigione in Europa per negazione dell’Olocausto.
 
Nonostante abbia sofferto anni di prigionia in Germania per la sua scettica indagine sulle prove scientifiche dell'Olocausto, Rudolf perseverò e alla fine creò la più completa raccolta pubblicata di letteratura sulla negazione dell'Olocausto. Essa comprende le opere di Butz e Kollerstrom così come dozzine di altri libri di vari studiosi, quasi tutti liberamente disponibili per il download, e un buon numero di documentari video sullo stesso argomento.
 
 
 
Holocaust Handbooks • 51 Volumes
 
 
Più recentemente, Rudolf ha anche pubblicato un’esaustiva enciclopedia sull’Olocausto, che riassume gran parte di questa montagna di materiale di ricerca in una serie di voci gestibili.
 
 
Se il Prof. Arthur Butz è probabilmente il padre fondatore della negazione dell’Olocausto in ambito accademico, penso che il defunto Ernst Zundel potrebbe vantare un analogo posto d’onore per quanto riguarda l’attivismo e l’editoria negazionista dell’Olocausto, avendo operato nello stesso periodo. Ma, mentre Butz era protetto dal Primo Emendamento e dal mandato accademico, Zundel, un cittadino tedesco emigrato in Canada nel 1958, era sprovvisto di simili protezioni, quindi finì col dovere affrontare diversi processi, deportazioni e molti anni di reclusione, sia in Canada, che nella nativa Germania, mentre la sua casa di Toronto veniva bombardata da militanti ebrei. Sebbene entrambi i processi canadesi degli anni '80 si siano conclusi con condanne e successiva incarcerazione, in realtà hanno dato un impulso importante alle sue tesi, spingendo sia Leuchter che Irving a impegnarsi nell'argomento, oltre ad avere prodotto preziose deposizioni dei principali studiosi accademici dell'Olocausto.
 
Al momento della sua morte nel 2017, avevo solo una scarsa conoscenza di Zundel e della sua storia, e quindi sono rimasto piuttosto sorpreso nel leggere un necrologio lungo e straordinariamente moderato sul New York Times, il che mi ha portato a sospettare che alcuni redattori del Times possano aver condiviso le opinioni eretiche di Zundel, o almeno abbiano nutrito qualche serio dubbio al riguardo.
 
Anche se all'epoca non ne ero a conoscenza, nel corso degli anni '80 e all'inizio degli anni '90, la controversia sulla negazione dell'Olocausto ha talvolta ricevuto notevole attenzione in vari programmi televisivi. Ad esempio, nel 1994 il successo teatrale di Schindler's List spinse Mike Wallace a intervistare Zundel per 60 Minutes, e di recente ho scoperto che il segmento è disponibile su Youtube:
 
 
 
 
Con alcune di queste questioni attuali in mente, ho chiuso uno dei miei primi articoli sulla Pravda statunitense del 2018 con le seguenti riflessioni:
 
 
L'idea che il mondo non sia solo più strano di quanto immaginiamo, ma ancora più strano di quanto siamo in grado di immaginare, è stata spesso erroneamente attribuita all'astronomo britannico Sir Arthur Eddington e, negli ultimi quindici anni, ho talvolta cominciato a credere che anche gli avvenimenti della nostra epoca potrebbero essere considerati allo stesso modo. A volte ho anche scherzato con i miei amici dicendo che, quando la vera storia dei nostri ultimi cento anni sarà finalmente scritta e raccontata - probabilmente da un professore cinese in una università cinese - nessuno degli studenti crederà a una parola.
 
 
 
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